In queste ore è stato confermato in Perù un secondo sversamento in mare di greggio che sarebbe avvenuto il 25 gennaio e che segue il disastro di sabato 15 gennaio a nella zona industriale nord di Lima, quando si è registrato il peggior incidente petrolifero della storia del Perù: 6000 barili di greggio sono stati versati in mare durante le operazioni di scarico della nave Mare Doricum battente bandiera italiana. L’impresa dietro all’incidente è la Repsol, azienda petrolifera spagnola proprietaria della raffineria che processa oltre il 70% del petrolio raffinato in Perù. Secondo la OEFA (Organismo de Evaluación y Fiscalización Ambiental), in un primo momento Repsol ha parlato di una perdita di circa 30 litri (7 galloni), mentre ad oggi si stima che il greggio abbia contaminato un’area di quasi tre milioni di km quadrati di uno dei mari più ricchi di biodiversità al mondo, minacciando la riserva naturale marina di Ancón e quella del Sistema de Islas, Islotes y Puntas Guaneras. La macchia di petrolio purtroppo è in rapida espansione verso nord, spinta dalla corrente di Humboldt.

Si tratta del più grave incidente ambientale legato alla produzione di petrolio in Perù a memoria d’uomo: secondo fonti indipendenti, dal 2009 al 2019 in Perù si sono registrati circa 9000 incidenti di questo tipo, per un totale di 9000 barili di petrolio, a fronte dei 6.000 barili di quest’ultimo incidente. “Ancora una volta i diritti delle persone e la tutela dell’ambiente vengono calpestati” racconta Corrado Scropetta, rappresentante paese di WeWorld in Perù “e soprattutto le famiglie dei pescatori, già in difficoltà per le attività della raffineria e colpite dagli effetti della pandemia si ritrovano senza nessuna possibilità di lavorare e portare cibo a casa”.

Il Governo peruviano sta affrontando con decisione la questione, mettendo a disposizione le poche risorse a livello di protezione civile e ambientale di cui dispone, chiedendo con risoluzione a Repsol che applichi le misure di protezione e contenimento dell’inquinamento previste dal suo piano di emergenza. Ha richiesto, e ottenuto, anche l’appoggio di una task force delle Nazioni Unite per valutare l’emergenza e individuare le misure urgenti da applicare.

Oltre alle sanzioni, che potrebbero arrivare a 35 milioni di $ (meno del 2% delle vendite totali della raffineria nel 2020), il governo chiede che l’impresa si assuma le proprie responsabilità per riparare ai danni ambientali a alla popolazione e adotti misure perché incidenti di questo tipo non si ripetano più, valutando inoltre la possibilità di arrivare a sospendere l’autorizzazione ad operare nel paese per Repsol, che invece accusa il mancato allarme tsunami da parte della Marina peruviana dopo l’esplosione del vulcano sottomarino a Tonga come la causa principale dell’incidente.

Intanto, il Ministero dell’Ambiente peruviano ha dichiarato lo stato di emergenza nella zona colpita, per un periodo di 90 giorni, misura che permette di realizzare e coordinare le operazioni di risposta all’incidente in modo rapido. Il Presidente dello Stato peruviano è Pedro Castillo, espressione delle popolazioni rurali e di sinistra del paese, e la Prima Ministra è Mirtha Vazquez, attivista per i Diritti Umani, avvocata e rappresentante della società civile peruviana.

A causa dell’attività della raffineria, oltre 1500 pescatori della zona dove si trova il terminal pesquero di Ventanilla, il più importante porto di pesca di Lima, sono impossibilitati a pescare. Alcuni di loro sono stati assunti da imprese che forniscono servizi a Repsol per le operazioni di pulizia, ma varie fonti denunciano la mancanza di un regolare contratto di lavoro, di formazione e di un adeguato equipaggiamento di protezione personale. Come compensazione, Repsol ha proposto di assicurare il cibo alle famiglie colpite, ma le associazioni di pescatori denunciano che questa misura è insufficiente e richiedono anche assistenza sanitaria e appoggio economico per poter raggiungere altre zone di pesca.

In seguito all’incidente, con l’espandersi verso nord dell’inquinamento, aumenterà anche il numero di famiglie colpite: solo a Chanchay, poco a nord della capitale, sono registrate altre 2.000 famiglie di pescatori artigianali che vedranno scomparire la propria fonte di reddito e cibo.

Nella zona a nord della capitale sono state chiuse anche le spiagge, in piena estate, con un danno economico che si stima superi i 10 milioni di $, ma in realtà, vista la diffusione di economie informali in Perù, sarà difficile calcolare le reali ripercussioni per la popolazione già duramente provata dal Covid-19.

Tra le vittime dell’incidente, i numerosi animali che popolano la zona, soprattutto uccelli, anche se mancano i dati al momento, ma si segnalano già diversi casi di volatili ricoperti di petrolio, in un paese, il Perù, dove purtroppo non esiste un centro specializzato per il recupero e reinserimento nel proprio habitat di animali marini e uccelli.

I danni all’ecosistema, in ogni caso, sono molteplici: il petrolio sulla superficie blocca il passaggio della luce e di conseguenza crea variazioni al ciclo della fotosintesi nel mare; inoltre la parte pesante del greggio si deposita sul fondo, colpendo molluschi e alghe e insieme ai componenti chimici più solubili entreranno nella catena alimentare.

Il dramma ambientale e sociale a cui stiamo assistendo pone con forza alcune domande: il disastro si poteva evitare? Sono stati valutati tutti i rischi e prese tutte le precauzioni? Se la compagnia spagnola Repsol avesse operato in Europa avrebbe offerto di assicurare cibo alle famiglie colpite come risarcimento per il grave danno provocato in termini si salute, ambiente e sostenibilità economica futura? L’estrazione di greggio è davvero ancora un vantaggio collettivo?

Tutte queste domande troverebbero una risposta adeguata se in Europa ci fosse già una legge sul dovere di diligenza (due diligence) obbligatoria per le imprese sul rispetto dei diritti umani e ambientali. La proposta di direttiva sulla due diligence che da mesi stiamo aspettando da parte della Commissione Europea, dopo che il Parlamento Europeo si è già espresso a favore nei mesi scorsi, dovrebbe prevedere l’obbligo da parte di aziende come Repsol - specialmente nei settori a rischio come quello petrolifero - di effettuare una valutazione dei rischi delle proprie operazioni che tenga conto dei possibili danni ambientali e sociali, coinvolgendo le comunità locali, i lavoratori e le associazioni. Le imprese dovrebbero adottare opportune azioni di riduzione del rischio fino all’eliminazione di alcune pratiche se identificate troppo pericolose. Inoltre la direttiva, nelle caratteristiche che la società civile europea sta chiedendo a gran voce, introdurrebbe un meccanismo di responsabilità civile che obbliga le imprese ad un risarcimento proporzionale dei danni provocati, consentendo alle vittime di avere accesso alla giustizia secondo le regole europee. Sarebbero le imprese come Repsol ad avere l’onere della prova, partendo da un’assunzione di colpevolezza e non le vittime di abusi aziendali (individui, comunità e territori) a dover dare prova dei danni subiti, facilitando la tutela dei diritti di soggetti vulnerabili.

È ora di cambiare! È ora di dare una regolata all’attività delle aziende che, specialmente nei Paesi con economie più povere, operano sfruttando risorse naturali e sociali, lasciando poche briciole nei territori e spesso devastandoli.

WeWorld lavora in Perù, assieme alla società civile nazionale ed internazionale, per sostenere i tanti difensori dei diritti della natura e delle comunità locali.

In Italia abbiamo lanciato, assieme ad altre dieci organizzazioni, la campagna "Impresa2030 - Diamoci una regolata", al fine di sostenere l’adozione tempestiva della direttiva europea sulla due diligence.

In Europa, con il progetto #ClimateofChange, appoggiamo l’azione di giovani che vogliono una transizione ecologica, che abbandoni lo sfruttamento dell’energia fossile.

Non possiamo permettere che i profitti di pochi si realizzino a spese della terra, del mare, della biodiversità, risorse di tutta l’umanità e da cui dipende il nostro futuro. Il rispetto delle regole da parte di tutti è alla base della pacifica convivenza democratica e tutela anche tutte quelle realità economiche agiscono nella salvaguardia dell’ambiente e dei diritti delle persone.

Possiamo fare molto insieme, per questo invitiamo a firmare l’appello per giuste regole nel mondo economico e la petizione per decarbonizzare l’economia mondiale, abbandonare l’estrazione di greggio e spostarsi con decisione verso le fonti di energia rinnovabile.