A due anni dall’inizio della guerra in Ucraina non si vede una possibile fine del conflitto nel cuore dell’Europa. La situazione umanitaria rimane grave e i bisogni della popolazione sono ancora tanti: intere famiglie sono rimaste senza casa, l’accesso ad acqua pulita e potabile e a cure mediche è limitato e in alcune zone mancano stufe e vestiti caldi per fronteggiare le rigide temperature dell’inverno.  

Questi due anni di conflitto avranno ripercussioni sul futuro di un’intera generazione. Tante bambine e bambini vivono una quotidianità precaria senza continuità a scuola, senza spazi sicuri dove poter studiare e socializzare e con la paura dei bombardamenti. Uomini e ragazzi costretti ad andare al fronte avranno bisogno di aiuto per superare lo stress post traumatico e le donne rimaste nel Paese hanno spesso il peso della cura e della ricostruzione interamente sulle proprie spalle.      

Siamo presenti in Ucraina dall'inizio del conflitto e in due anni di intervento abbiamo raggiunto 230.000 persone, di cui il 74% sono donne, bambine e bambini.

In occasione del secondo anniversario dall’inizio della guerra, vogliamo tenere i riflettori accesi sul conflitto in corso e sulla crisi collettiva che sta vivendo il popolo ucraino, una crisi che deve essere fermata, o il rischio è che il Paese non riesca più a rialzarsi.   

Abbiamo chiesto a Guido Manneschi, il nostro Rappresentante Paese in Ucraina, di descriverci la situazione del Paese e i sogni e le speranze di una popolazione che vuole – e deve - tornare alla normalità.   

Guido è anche il protagonista della prima puntata del Podcast "Vite Sospese. Quotidianità in crisi", che abbiamo realizzato insieme all'Espresso. Ascolta il primo episodio qui. Il podcast racconterà ogni 2 giovedì le storie di chi prova a tornare alla normalità nonostante le crisi umanitarie.

Due anni dopo l’inizio del conflitto, qual è la situazione nel paese? 

Io sono qui dall’aprile del 2022 e posso dire che adesso è diverso rispetto all’inizio. Se prima “fino alla vittoria” erano le parole piu’ usate, questo tipo di proiezione in avanti ora è meno forte.

Dopo due anni di bombardamenti e reclutamenti, c’è più stanchezza nella popolazione.  

In alcune zone non direttamente interessate dal conflitto, la popolazione conduce una vita che possiamo definire ‘buona’. Ogni tanto c’è il coprifuoco, ma ci sono quasi tutti i servizi.  

Quando parliamo di zone sotto diretto impatto del conflitto, come l’est e il sud del paese, parliamo invece di sfollamento, di case distrutte e di una situazione economica devastata.  

Quali sono i bisogni principali delle persone che vivono nelle zone dove c’è il conflitto?  

Chi vive vicino alla linea del fronte o al confine con la Russia ha molteplici bisogni. 

In alcuni villaggi le case sono state distrutte dal conflitto lasciando tante persone senza un posto dove vivere.  

Lo sfollamento delle persone ha comportato una disgregazione delle relazioni sociali, familiari e comunitarie. Questo è un altro problema per il futuro del Paese: se tante persone sfollate internamente o rifugiate in altri Paese non dovessero tornare indietro, non ci sarebbe la forza per ricostruire.  

L’accesso alla sanità è complesso: cliniche rurali e ospedali di medie dimensioni sono stati distrutti. Dall’altra parte, gli spostamenti nelle varie zone sono complicati.  

Una società si basa anche sulle relazioni economiche, che in molte parti del Paese sono molto ridotte. L’economia reale è pesantemente piegata dal conflitto. Bisogna pensare a ricostruirla e a costruire delle infrastrutture che consentano all’economia di risollevarsi. 

Nelle zone colpite dal conflitto ci sono bambine, bambini e adolescenti che non vanno più a scuola? 

Dall’inizio del conflitto, riescono tutte e tutti a frequentare la scuola in qualche modo. Bambine, bambini e adolescenti hanno iniziato a fare lezione online.

In alcune zone del Paese si va in presenza ma solo se queste strutture hanno uno shelter antiaereo. In altre zone del Paese, invece, non ci sono più bambine e bambini e non c’è più un tessuto sociale. Le scuole sono una questione rilevante legata alla socialità, oltre che all’educazione. La scuola è un punto di aggregazione per svariati aspetti. 

Le persone hanno accesso ad acqua e cibo?

L’accesso al cibo è stato garantito anche attraverso il sistema umanitario. L’accesso all’acqua è diverso perché riguarda le infrastrutture.  

Nelle zone colpite dal conflitto, ci sono situazioni molto diverse tra di loro. Dove si è combattuto,, il sistema idrico è stato danneggiato.  

Tantissime zone sono rimaste senza accesso all’acqua, alcune lo sono tutt’ora. Noi stiamo supportando tutti i water provider a livello comunitario per ripristinare questo servizio.  

Ovviamente ci sono situazioni e situazioni. La distruzione della diga di Nova Kakhovka, per esempio, ha portato tantissimi problemi, perché ha salinizzato tantissime fonti d’acqua da cui vari acquedotti si approvvigionavano.  

Come supportiamo la popolazione ucraina?  

I nostri interventi nel Paese sono molteplici: lavoriamo per garantire l’accesso ad acqua pulita e potabile, servizi sanitari e igiene.  

Siamo impegnati nella riabilitazione di strutture come serbatoi idrici a torre, servizi igienici, sistemi di filtraggio dell’acqua e impianti idrici di centri in centri medici e di riabilitazione, dove forniamo anche kit per pulire.  

Distribuiamo kit igienici alle persone e a intere famiglie. Esistono kit per persone con disabilità, per persone anziane, per donne. Questi vengono distribuiti anche in zone molto a ridosso della front line attraverso l’aiuto dei nostri partner locali. Ci occupiamo anche di distribuzione di kit per l’inverno, composti da pellet, coperte e vestiti caldi. 

Supportiamo finanziariamente i cittadini e le cittadine che hanno visto la propria casa distrutta dal conflitto; persone che per motivi di sicurezza hanno bisogno di cambiare casa o che hanno bisogno di spostarsi per ricevere assistenza medica.  

Garantiamo supporto psicosociale soprattutto a donne e bambine e poi sensibilizziamo sulle mine e gli ordigni inesplosi: ce ne sono a migliaia nel Paese e per questo educhiamo bambine, bambini e persone adulte a saperli riconoscere e segnalare.  

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Se le parti non dovessero trovare un accordo per la fine del conflitto, quali sarebbero le ripercussioni sulla popolazione? 

Il rischio è di aggravare quello che già sta accadendo in Ucraina: la disgregazione totale del tessuto sociale in alcune parti del paese, che comporta la perdita della struttura di una comunità, che sia un villaggio o una cittadina. Per diversi fattori: accesso all’acqua, persone che sono andate via, scuole che non funzionano, mancanza di accesso all’assistenza sanitaria.  

Se continuasse la guerra, il rischio sarebbe di non poter ricostruire i servizi di base e quindi le persone non possono tornare a una situazione di normalità o cominciare a tendere verso una ricostruzione socioeconomica strutturale di una parte del paese.  

Come si potrò affronterà la reintegrazione nella società di ragazzi e uomini costretti al fronte? 

È un problema di tutte le guerre. L’esposizione alla violenza può creare traumi che vengono poi riportati in famiglia, nella società. Ci vorrà supporto psicologico, economico, per le famiglie in generale. Sarà un problema se le persone si reinseriscono in un contesto che non può mitigare le conseguenze di questo conflitto. Prima ancora che succeda, dobbiamo cercare di fare il possibile per mettere delle basi per mitigare i problemi che deriveranno dalla reintegrazione nella società civile di chi ha combattuto al fronte. Questo problema si sentirà quando e se la guerra finirà. 

Le persone che ritornano, dove vanno? Tornano nelle città di origine o in altre parti del paese? 

Dipende. Non si sa esattamente quante persone sono fuori e quante dentro. Molte non sono ancora rientrate. Tendenzialmente si cerca di tornane nei luoghi di origine, ma a volte non è possibile.  

L’attenzione mediatica è calata. Perché è importante continuare a parlare di questo conflitto? 

Se l’attenzione viene meno può essere difficile cercare di convincere la comunità internazionale a trovare una soluzione al conflitto. Non è pensabile che si continui a combattere ancora per anni, non me lo auguro. 

La popolazione ucraina si sente abbandonata dalla comunità internazionale rispetto a prima? 

Ancora non direi. Gli aiuti umanitari sono ancora molto elevati. È vero che l’attenzione non è elevata come all’inizio, ma viene ancora dato spazio nei media a questo conflitto. Si nota comunque una diminuzione dell’interesse. Il problema sarà tra qualche mese, perché gli aiuti umanitari potrebbero diminuire.

Può darsi che il sentimento di abbandono cominci a diffondersi nella popolazione.