Sono appena rientrato da Ventimiglia, dove con WeWorld abbiamo un progetto che sostiene i migranti in transito. Ventimiglia è uno dei luoghi di passaggio più importanti in Europa. Oggi la maggior parte delle persone che arrivano in Italia, via mare o via terra dalle rotte balcaniche, tenta di attraversare qui il confine. Si parla di circa 30.000 migranti ogni anno. Generalmente chi arriva in Italia non si vuole fermare ma aspira ad andare in un altro paese europeo. Il problema, anzi, uno dei problemi, è che la Francia ha chiuso le frontiere e attua una politica di respingimenti molto dura. Così succede che Ventimiglia si trasforma in un limbo in cui rimangono intrappolati moltissimi migranti il cui progetto di vita non prevede come destinazione finale l’Italia, dove magari non hanno alcun contatto. Persone alla ricerca di una vita migliore rispetto a quella che si stanno lasciando alle spalle.

Oggi, in occasione della Giornata per i diritti dei Migranti, sento il bisogno di condividere con voi le loro storie.

Il tentativo di attraversare il confine avviene sia via treno, sia a piedi, magari passando dal lungomare che collega Ventimiglia a Mentone. La maggior parte di questi tentativi tuttavia fallisce e i migranti vengono riportati in Italia, compresi i minori non accompagnati. È accaduto che per dichiararli maggiorenni la Gendarmerie francese a volte trascriva dati anagrafici non veritieri sul documento con cui li respinge. I migranti che vengono respinti una prima volta, ritentano nei giorni successivi. Alcuni di nuovo via terra o via treno, magari in orari diversi, nel pomeriggio per esempio, quando i treni sono più affollati e le possibilità di non essere intercettati aumentano. Alcuni ci provano attraverso percorsi molto impervi e pericolosi, come dal “passo della morte” che collega Francia e Italia. La strada parte da Grimaldi, l’ultimo paesino in Italia, e da lì si inerpica verso la montagna. Altri, infine, pagando dei passeur tra i 150 e i 250 euro a testa, tentano di attraversare il confine nascosti nei portabagagli delle macchine o nel retro di camion. Spesso, anche questi tentativi falliscono. Si stima che, negli ultimi 4 anni, almeno 18 persone abbiano perso la vita tentando di attraversare il confine.

In questa situazione drammatica c’è però anche una parte di popolazione che si mobilita. Appena prima del confine, dal lato italiano, c’è un presidio gestito da attivisti internazionali che fornisce cibo e un riparo di fortuna per riposarsi. Nella sola giornata in cui sono stato a Ventimiglia abbiamo stimato che abbiano tentato il passaggio circa 80 persone. In media, ogni giorno, ci provano in 100. Fino a giugno del 2020 era attivo il Campo Roja, dove venivano ospitati i migranti di passaggio. Da quando è stato chiuso, chi non riesce ad attraversare il confine e a proseguire il proprio viaggio, non ha un luogo dove stare in città. Solo nella sera in cui sono passato, nello spiazzo davanti alla Caritas c’erano almeno 150 persone accampate.

Per oltre 2 anni abbiamo garantito l’assistenza ai migranti in transito tramite fornitura di pasti, uno sportello legale e più in generale servizi di orientamento. Per sopperire almeno in parte alla chiusura del Campo Roja, da un mese insieme a Caritas e Diaconia Valdese abbiamo aperto una casa di accoglienza per famiglie e donne migranti. Una casa dalla facciata rosa che può accogliere fino a circa 12/15 persone, per una o due notti, non di più. Quando siamo andati alla frontiera, abbiamo intercettato una famiglia proveniente dalla Guinea composta da padre, madre e una bambina di 2 anni e mezzo. Sono stati ospitati in una delle stanze ancora libere della casa. È un progetto fondamentale per garantire la sicurezza dei più fragili, ma lo spazio non basta per tutti.

Quello che serve è una politica comune europea che si faccia carico della situazione complessa venuta a crearsi al confine. Un’azione integrata ormai non più rinviabile. Eppure sono ancora convinto che al di là dell’intervento (fondamentale) delle istituzioni, ognuno di noi possa fare la sua parte per contribuire a cambiare un pezzettino di mondo, che per quanto piccolo sia per chi riceve il nostro aiuto avrà un impatto enorme. Stiamo cercando volontari per aiutare i migranti ospitati nella casa,

Per questo voglio chiudere questo lungo racconto, con la storia di Delia che ha unito al dolore che mi porto da questo viaggio tanta speranza sul genere umano. Delia è la titolare del bar Lo Hobbit, che qualche anno fa, in un momento particolarmente drammatico, ha permesso ai migranti che stazionavano per strada senza un luogo dove andare, di entrare per scaldarsi, riposarsi e magari ricaricare i telefonini. Da allora la clientela cittadina è stata completamente sostituita e lei è diventata Mama Africa. Oggi è uno dei punti di riferimento per i migranti e il suo bar funge da magazzino per le raccolte di beni da distribuire: cibo, vestiti e coperte. Quando siamo arrivati ha iniziato a parlare con Jacopo, il nostro operatore basato a Ventimiglia, per trovare il modo di garantire un pasto a tutti i migranti che saranno in città il 25 e il 26 dicembre.

Un gesto piccolo, forse, ma che sono sicuro potrà restituire un po’ di speranza a chi a cavallo di Natale, al freddo, dopo mille ostacoli aspetta ancora che il futuro su cui ha riposto tutti i propri sogni smetta di essere tanto sospeso e incerto.

Marco Chiesara, Presidente di WeWorld