Da un’onda nera che si è sollevata sul mare di Amburgo e dalle abilità dell’immaginazione nacque la tenera fiaba di una gabbianella orfana e del gatto che le insegnò a volare. Sfortunatamente, quello che è successo in Perù è ben lontano dal richiamare la magia di Sepulveda. Infatti, lo scenario che si presenta oggi, due mesi dopo l’incidente, ricorda solo una storia dell’orrore: è un ecocidio senza precedenti nel paese.

Lo sversamento è avvenuto il 15 gennaio 2022, nella raffineria La Pampilla, appartenente alla compagnia spagnola Repsol, a nord di Callao, a circa 30 km da Lima. 

Foto di https://cooperaccion.org.pe/

Secondo le prime comunicazioni della Repsol, il volume di greggio fuoriuscito corrispondeva a 0,16 barili. Più tardi, quando il danno è stato riscontrato sul mare, la compagnia ha aumentato il numero a 6.000. Tuttavia, dopo le indagini effettuate dalla Unidad Conjunta de Emergencias Ambientales (Unità Congiunta per le Emergenze Ambientali), si è scoperto che 11900 barili sono stati riversati nel Pacifico, rilasciando 2100 tonnellate di greggio. L'incidente è stato catalogato come la peggiore catastrofe ecologica della storia del Perù. 

Un disastro ambientale e sociale

Il disastro ha compromesso tutte le specie che abitavano la zona. Secondo il Servicio Nacional Forestal y de Fauna Silvestre, che il 15 marzo ha avviato un processo amministrativo contro la compagnia, la perdita ha causato la morte di 491 esemplari di animali selvatici. Inoltre, un numero imprecisato di pesci, uccelli, lontre, leoni marini e altri esemplari sono stati costretti a lasciare il loro habitat naturale. La macchia nera si è estesa, seguendo le correnti, fino a ricoprire 713 ettari di mare. Anche la costa è stata coinvolta dallo sversamento: 180 ettari di sabbia sono stati avvelenati dal petrolio.

Un'altra vittima della fuoriuscita è stata l'economia locale. Infatti, i pescatori della zona hanno perso la loro principale fonte di reddito, non avendo più un luogo dove pescare. Altre attività sono state colpite dalle conseguenze della perdita: gli alberghi e le strutture della zona sono chiusi e gli alloggi sono vuoti, in quanto il turismo è completamente cessato. Per far fronte alle perdite economiche, lo Stato, dopo un dialogo bilaterale con Repsol, privo dei diretti interessati al tavolo di discussione, ha concordato che la compagnia fornirà fino a 3.000 soles peruviani alle persone colpite, a seconda delle loro attività economiche, per sostenere le famiglie. Tuttavia, si tratterebbe di un indennizzo irrisorio. L'importo non riflette le perdite economiche a medio e lungo termine, poiché si stima che la fuoriuscita continuerà a danneggiare il benessere marino per almeno i prossimi sei anni. Anche il valore del pesce è stato danneggiato. Secondo i pescatori, la fuoriuscita influenzerà i prezzi a lungo termine, poiché il senso comune si installerà nell'idea che il pesce è nocivo e non idoneo al consumo. Inoltre, sono iniziate le aggressioni nella zona costiera, in un paese che è gravemente segnato dalla violenza e dai conflitti sociali sulle colline e nelle zone di giungla. Infatti, come conseguenza della fuoriuscita, alcuni pescatori si sono trasferiti in altre aree per mantenere le loro attività, il che ha portato a dispute territoriali.

Lo scenario attuale due mesi dopo il disastro non è rassicurante

A detta del presidente di Repsol Perù, la risposta all'incidente non è stata tempestiva, poiché sembra che inizialmente l'azienda non fosse conscia della gravità del danno. Una volta compresa l'entità dell'incidente, la compagnia ha promesso di ripulire le aree colpite, assicurando di finire il lavoro entro la fine di febbraio. Tuttavia, nel giro di giorni, l'azienda era già stata accusata di aver fallito nell'identificare le aree interessate entro i tempi concordati. Ad oggi, manca ancora un inventario dettagliato dei danni alle persone, alla flora e all'ambiente che quantifichi con precisione i danni subiti e futuri.

Per di più, la depurazione non è ancora completa. Anche se l'azienda sostiene che il 94% delle aree colpite sono pulite, la realtà sembra essere diversa. Infatti, la recente iniziativa dell'Organismo de Evaluación y Fiscalización Ambiental (Agenzia di valutazione e controllo ambientale), che il 20 marzo ha avviato una nuova procedura per sanzionare la raffineria La Pampilla, sembra confermare le preoccupazioni di tutti: la compagnia non sta mantenendo le sue promesse. 

Anche se il governo peruviano si è attivato, imponendo sanzioni e avviando nuove procedure amministrative, il problema principale, il risanamento ambientale, rimane irrisolto. Va anche sottolineato che, ad oggi, non esiste un piano statale per la ripresa economica delle persone che hanno perso le loro fonti di reddito dopo la fuoriuscita. L'unica certezza è che finora le spiagge, l'oceano e il popolo peruviano rimangono in balia di questo andirivieni di sanzioni e promesse non mantenute, incastrati dalle trafile burocratiche e dall'assenza di diritti per sanzionare efficacemente e duramente le imprese e proteggere l'ecosistema e i suoi abitanti.