“E’ un bene che si sia trovato un accordo ma, se i contenuti di cui abbiamo avuto informazione si confermeranno nel testo definitivo, presenta elementi di debolezza significativi e anacronistici rispetto alle gravi crisi che siamo chiamati ad affrontare. Su due punti si doveva fare di più: lotta al cambiamento climatico ed inclusione del settore finanziario nella maggior parte degli obblighi”. Questo il commento di Margherita Romanelli responsabile advocacy WeWorld, dopo che a Bruxelles si è raggiunto l’accordo tra le istituzioni europee per una direttiva sulla Corporate Sustainability Due Diligence (CSDD) che dovrebbe essere approvata il prossimo marzo 2024.

“La direttiva segna una svolta storica, che WeWorld accoglie con favore, verso un modello economico che rispetti i diritti umani e dell’ambiente. Da anni assistiamo e denunciamo le gravi violazione che alcune imprese svolgono sia in Italia che all’estero. Due esempi su cui WeWorld lavora direttamente. Nel nostro paese lo sfruttamento delle donne migranti in agricoltura in Italia come numerose nostre ricerche hanno evidenziato negli ultimi anni in Toscana, nell’Agro Pontino, nella Piana del Sele. All’estero l’uso del mercurio nell’estrazione dell’oro e le gravi conseguenze che determina sull’ambiente e le comunità indigene in Bolivia, paese in cui operiamo da anni. Attraverso la direttiva si passa finalmente da un approccio volontario di salvaguardia dei diritti, che purtroppo non ha portato negli ultimi trent’anni a cambiamenti significativi, ad uno obbligatorio, necessario perché avvenga un cambiamento efficace del comportamento di alcune aziende”

La direttiva infatti rafforza gli strumenti perché le violazioni nelle filiere globali del valore e in tutti i settori merceologici possano finalmente essere messe al bando.

Le aziende che producono o vendono in Europa dovranno identificare preventivamente i rischi che le proprie azioni e quelle dei loro partner a livello globale, come i fornitori ad esempio, hanno di impattare negativamente sui singoli e sulle comunità pregiudicando i diritti fondamentali riconosciuti dalle principali convenzioni internazionali.  In caso di danni - anche provocati in paesi extra-europei - le imprese avranno una responsabilità civile nei confronti delle vittime, che siano europee o di paesi terzi, le quali potranno accedere al sistema di giustizia europeo.

“Quando la direttiva sarà recepita ci saranno maggiori strumenti innanzi tutto per prevenire i comportamenti scorretti di alcuni soggetti economici che non solo creano sfruttamento, ma fanno concorrenza sleale anche alle tante realità sane che lavorano eticamente.” Continua Romanelli “ Ci sarà un doppio meccanismo per scongiurare forme di sfruttamento: il controllo da parte di autorità nazionali dei piani di prevenzione delle imprese e la possibilità delle vittime di accedere alla giustizia civile. Le sanzioni, che possono arrivare anche a percentuali non trascurabili del fatturato, risarciranno le vittime per i danni subiti, ma ci auguriamo siano anche un deterrente contro nuovi illeciti”.

La capacità della direttiva di essere applicata a tutta la catena del valore è un passo importante per ridurre la crescente discriminazione che i processi di delocalizzazione hanno determinato, dove certe pratiche ingiuste hanno spesso luogo nei paesi più fragili.

Eppure su due punti si poteva fare di più. “Innanzi tutto la lotta al cambiamento climatico: le imprese dovranno fare piani di transizione climatica, per la riduzione del loro impatto al riscaldamento globale. Purtroppo, se tali piani non saranno rispettati, la direttiva parrebbe non prevedere una responsabilità civile per i danni provocati da parte delle aziende che dovevano metterli in pratica.” Spiega Romanelli. “L’altro grande punto è l’esclusione del settore finanziario della maggior parte degli obblighi. In particolare banche, assicurazioni, fondi pensione potranno continuare a finanziare progetti che inquinano o sfruttano combustibili fossili, principali responsabili della crisi climatica”.

In più i diritti dei popoli indigeni di autodeterminazione sono riconosciuti in forma ridotta. La direttiva sembra non proteggerà in modo adeguato e completo proprio coloro che oggi sono i principali difensori delle foreste e della biodiversità nel mondo.

Ci si chiede come mai rimangono esclusi dalla direttiva questi punti fondamentali.

Nei giorni del negoziato si è palesata una grande pressione da parte delle associazioni che rappresentano le grandi imprese e il mondo finanziario in tutta Europa – inclusa l’Italia - per ridurre il dovere di multinazionali e finanza al rispetto di quei diritti sanciti dalle convenzioni che i nostri paesi hanno sottoscritto. Tra essi troviamo i maggiori responsabili delle emissioni clima alternanti, della disuguaglianza, dell’accaparramento indebito di terre, acqua e altre risorse del pianeta.

La decisione delle istituzioni europee, poco ambiziosa su questi punti, sembra ripetere quanto abbiamo assistito poche ore prima alla chiusura di COP28. Da un lato, per la prima volta, si demarca un passaggio verso obblighi che attendiamo da oltre venti anni come l’uscita dal fossile e l’obbligo di rispetto dei diritti fondamentali. Dall’altro, gli interessi di pochi - siano le imprese produttrici di petrolio gas e carbone, siano gli altri colossi economici e finanziari – rallentano processi necessari ed urgenti per assicurare pace e futuro per l’intera umanità. È necessario che le istituzioni mettano al centro, con più coraggio, gli interessi delle popolazioni che rappresentano.

I prossimi step vedono l’elaborazione, sulla base degli accordi presi, di un testo definitivo della direttiva e il successivo voto di approvazione di Consiglio e Parlamento dell’UE previsto per il prossimo Marzo 2024. Poi ciascun paese membro recepirà la direttiva a livello nazionale. Questi sono passaggi molto importanti in cui può esserci spazio per migliorare l’applicabilità della direttiva stessa e sui quali WeWorld, assieme a Impresa2030 e alle reti europee di cui fa parte, continuerà a lavorare in difesa dei diritti di tutte e tutti.