È passato un anno da quando gli schermi del mondo intero hanno trasmesso le scene drammatiche che si stavano svolgendo in Afghanistan. Tuttavia, l'attenzione dei media internazionali si è rapidamente spostata su altre crisi umanitarie, relegando il Paese asiatico alle seconde pagine, se non quasi del tutto nell’oblio. Nel frattempo, le condizioni di vita della popolazione non hanno fatto altro che peggiorare drasticamente.

Lo scenario umanitario

Dopo 40 anni di guerra, la fame, le crisi economiche, la povertà e gli sfollamenti interni sono diventate condizioni comuni. Tuttavia, il ritorno delle autorità talebane lo scorso agosto, e il susseguente blocco degli aiuti umanitari internazionali, hanno esacerbato questi fenomeni. Oggi più della metà della popolazione - 24,4 milioni di persone -, ha bisogno di assistenza umanitaria. Nel 2021, erano 18,4 milioni, e l'anno prima 9,4. Inoltre, la popolazione afghana, quasi interamente sotto la soglia di povertà, è in forte crescita oltre che una delle più giovani al mondo.

In un tale contesto, qualsiasi ulteriore shock, causato dall'uomo o dalla natura, avrebbe un'enorme ripercussione sul Paese. Ne è stato la prova il terremoto dello scorso 22 giugno, in cui nonostante la rapida mobilitazione degli operatori umanitari, le attività di soccorso sono state ostacolate dalla mancanza di risorse e dall'accesso molto limitato alle strutture sanitarie locali. Dall’altro lato, le numerose persone rimaste senza casa si sono sommate ai milioni di afghani che già necessitavano di un tetto.

Il sistema sanitario nazionale, in precedenza fortemente dipendente dalla comunità internazionale, è rimasto con pochissime strutture e risorse. Oggi, insieme a malattie come il morbillo e il colera, si diffondono sempre più pratiche corrotte, con i pochi servizi medici spesso condizionati all'ottenimento di un beneficio personale.

Le tensioni climatiche

Oltre alle gravissime crisi sopra elencate, la popolazione afghana sta sperimentando anche gli effetti spietati del cambiamento climatico. Lo scorso inverno è stato particolarmente rigido e le forti tempeste di neve hanno bloccato molte strade, compromettendo ancora di più l'accesso ai beni e ai servizi di base.  D'altra parte, il Paese è messo in ginocchio da una fortissima siccità che ha compromesso le culture tradizionali. Di conseguenza, le radicate abitudini rurali, quali l'economia di sussistenza e la solidarietà tra vicini, non sono più sostenibili e la fame si diffonde: oggi 23 milioni di persone soffrono di sicurezza alimentare – un incremento del 35% rispetto all’anno precedente e il numero più alto registrato in un singolo paese -; le estreme difficoltà quotidiane stanno gradualmente lacerando il tessuto sociale e si stima che ci siano 3,5 milioni di tossicodipendenti a livello nazionale, che fanno uso di oppiacei per evitare la fatica del lavoro, ma anche per affrontare la fame o i problemi psicosociali.

Il posto di donne, bambine e bambini sotto il nuovo regime

Per i diritti umani e per le donne afghane, il ritorno al potere dei Talebani ha comportato il graduale ma forte ripristino di restrizioni e discriminazioni. Ad oggi, le donne non possono più lavorare né allontanarsi oltre 50km da casa senza essere accompagnate da un membro maschile della famiglia, un Mahram, e devono indossare un abaya – lungo abito che copre tutto il corpo – e coprirsi il volto negli spazi pubblici. A causa dell'alto tasso di uomini morti nei recenti conflitti o a causa della pandemia e di altre malattie diffuse, oltre 2 milioni di donne sono rimaste vedove nel Paese. Poiché, a causa delle restrizioni sopra citate, le loro possibilità di trovare un lavoro o anche solo di chiedere l'elemosina per strada sono quasi assenti, è raro che abbiano una fonte di reddito. Questa privazione d'indipendenza economica mette in pericolo la loro sopravvivenza e il loro accesso al cibo, così come quelli di chi dipende da loro.

Molti bambini sono costretti ad abbandonare la scuola per lavorare o chiedere l'elemosina per strada, con tutti i rischi psicologici, di sviluppo e fisici annessi. Nel frattempo, l'istruzione è diventata una rarità anziché il diritto che dovrebbe essere, con almeno 4 milioni di bambini fuori dal sistema scolastico. Inoltre, il numero è cresciuto dal 23 marzo scorso, quando gli istituti secondari per le ragazze sono le uniche strutture che non hanno riaperto dopo la lunga chiusura delle scuole. Nel contesto afghano, la possibilità per le ragazze di andare a scuola è di fondamentale importanza anche in quanto strumento per contrastare l'uso tradizionale e diffuso dei matrimoni forzati. Infine, una delle conseguenze più drammatiche dell'aggravarsi delle restrizioni e delle crisi per i minori è l’abbandono di molti di loro davanti agli orfanotrofi.

Le bambine e i bambini sono quindi estremamente vulnerabili, con più della metà della popolazione sotto i cinque anni che soffre di malnutrizione acuta. Sono loro, insieme alle loro madri e alle altre donne, i più colpiti dall’insieme di emergenze che si stanno abbattendo sul Paese: le stesse categorie a cui WeWorld dà priorità nelle sue operazioni in tutto il mondo.

Il ripristino degli aiuti umanitari

Nonostante la difficile penetrabilità di contanti nel Paese a causa dell'interruzione del sistema bancario, le trattative con le autorità riguardo alla presenza di donne nello staff e come beneficiarie, e la riluttanza di alcuni donatori a causa della situazione politica, è stato gradualmente possibile reintrodurre programmi di aiuto umanitario di natura monetaria. WeWorld ha potuto operare nuovamente nella provincia di Herat grazie al suo partner locale di lunga data, la Rural Rehabilitation Association for Afghanistan (RRAA).

Nelle aree rurali dei territori interessati, la siccità ha provocato grandi flussi migratori: alcuni sono riusciti ad attraversare i confini nazionali, mentre altri si sono uniti alle masse di sfollati che sopravvivono nelle strade delle principali città. I pochi residenti rimasti nell'area di Robat E Sangi descrivono l'anno appena trascorso come il peggiore di cui hanno memoria. A più di 70 km dalla città più vicina, raggiungibile attraverso sinuose strade di montagna spesso bloccate da tempeste di neve o fitte nebbie, le uniche fonti di reddito sono attualmente relegate alle poche colture resistenti alle condizioni avverse, come la liquirizia. Nei villaggi, i rivenditori acquistano 4 kg di radici per l'equivalente di quasi 1 USD.

Il nostro intervento

WeWorld sta implementato dalla fine del 2021 un progetto di Cash for Food in tali aree, proprio a sostegno delle donne che si sono ritrovate a capo delle proprie famiglie. 180 nuclei familiari sono attualmente beneficiari del programma, per un totale di più di 1000 persone, i cui ¾ sono bambine e bambini. Un secondo progetto analogo partirà quest’estate con 240 nuove famiglie.

La grave mancanza di reddito ha costretto le famiglie ad adottare molti meccanismi negativi. Per contrastarli, l'aiuto consiste nella distribuzione di denaro per l'equivalente di 80 USD al mese per famiglia, per l’acquisto di beni alimentari e di prima necessità. Per alcune beneficiarie, l'assistenza in denaro è stato l'unico modo per poter rimanere e non rischiare la propria vita migrando, che fino a poco prima era l'unica opzione plausibile per provare ad andare avanti.

Le storie delle donne afghane sono fatte di barriere estenuanti e di enormi sforzi quotidiani. I loro figli sono vittime dirette di questa situazione, costretti a lavorare, a sposarsi e/o a passare la fame. Il sostegno esterno, attualmente l'unico disponibile, è più che mai tanto fondamentale quanto urgente. Finora, WeWorld ha effettuato 5 distribuzioni. L'intento è quello di rafforzare e rendere sostenibile l'assistenza alimentare, estendendola in modo che comprenda anche interventi mirati alla protezione, istruzione d'emergenza, accesso all'acqua, servizi igienico-sanitari e che raggiunga più persone in stato di necessità.

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