Ogni anno sono centinaia di migliaia le persone che cadono vittime della tratta di esseri umani. Il 30 luglio celebriamo la Giornata Internazionale contro la tratta di persone, istituita dalle Nazioni Unite nel 2013 per richiamare l’attenzione su questa moderna forma di schiavitù e sulla necessità di proteggere i diritti umani delle vittime: il diritto alla vita, a un lavoro dignitoso, alla salute, la libertà da schiavitù e da lavori forzati, la libertà da torture e trattamenti crudeli, inumani o degradanti.
La tratta, commessa a scopo di sfruttamento sessuale o lavorativo da vere e proprie reti criminali associate, colpisce spesso persone in condizioni di fragilità, che sono più facili da adescare e mantenere sotto il controllo dei trafficanti con la (falsa) promessa di un futuro migliore. Infatti, solitamente, le vittime vivono in situazioni di povertà, appartengono a minoranze (etniche, religiose, culturali), provengono da ambienti socioeconomici marginalizzati, da Paesi a basso reddito o da zone di conflitto.
Due termini per capire: tratta di persone e traffico di migranti
La tratta di persone consiste nel reclutamento, rapimento o adescamento di una persona, con minaccia, uso della forza o abuso della sua posizione di vulnerabilità, per fini di sfruttamento sessuale o lavorativo. Dunque, è caratterizzata da una mercificazione della vittima e dalla sua sottoposizione al controllo del trafficante. Si tratta di un reato contro la persona perché, visto il fine dello sfruttamento, ne viola i diritti umani e la dignità personale.
Il traffico di persone migranti, invece, consiste nell’introdurre illegalmente una persona nel territorio di uno Stato (cioè violandone le leggi in materia di immigrazione) ed è caratterizzato dal consenso del/la migrante, che chiede al trafficante di essere trasferito/a. Per questo, diversamente dalla tratta, il traffico di migranti è un reato a danno dello Stato.
I due fenomeni, però, sono spesso collegati perché le vittime di tratta intraprendono il proprio viaggio con la speranza di trovare una sistemazione migliore all’estero. Quindi, può accadere che prima si verifichi il traffico di persone e poi, durante o dopo lo stesso, quello di tratta.
Chi sono e quante sono le vittime della tratta
Tra il 2019 e il 2021, la pandemia e i lockdown hanno causato una diminuzione delle vittime identificate a livello globale pari all’11%. Il fenomeno è, però, molto difficile da misurare e i dati di cui disponiamo non rispecchiano fedelmente la realtà. Secondo l’ultimo Rapporto del Dipartimento di Stato americano, nel 2023 si registrano 27,6 milioni di vittime di tratta e, tra queste, 6 su 10 sono donne e bambine. In particolare, queste due categorie sono più esposte non solo al rischio di tratta, ma anche alla probabilità di subire violenza: donne e ragazze sono tre volte più a rischio di violenza fisica o sessuale rispetto a uomini o ragazzi, mentre per bambine e bambini questa probabilità è di circa due volte superiore rispetto agli adulti.
La tratta di persone è connessa anche ai flussi migratori perché spesso sono proprio le persone migranti a esserne vittime. Infatti, queste possono cadere nelle reti dei trafficanti ed essere ingannate dalla promessa di una vita più dignitosa, nel Paese di transito o di destinazione. Anche lungo le rotte migratorie possono cadere vittime di estorsione o reclutate a fini di sfruttamento lavorativo, soprattutto nei casi in cui siano migranti irregolari e temano le conseguenze negative di questo status (per esempio, la detenzione).
La tratta di persone tende a modificarsi nel tempo e i trafficanti ricorrono sempre a nuovi strumenti per adattarsi a nuove circostanze, come avvenuto ad esempio durante la pandemia. L’isolamento forzato, infatti, ha portato i trafficanti a ricorrere agli strumenti digitali e a piattaforme online per reclutare vittime e vendere contenuti sessuali illeciti, sfruttando la messaggistica criptata e le valute digitali per eludere il sistema di controlli.
Anche i conflitti armati hanno aumentato ulteriormente la portata del fenomeno: costrette a fuggire e in condizioni di bisogno, le persone sfollate diventano target ideali del traffico di esseri umani.
La femminilizzazione della tratta: donne a rischio di tratta per scopi di servitù domestica
Come emerge chiaramente dal Report dell’UNODC 2022, le donne vittime di tratta hanno maggiori possibilità di finire nel circuito della servitù domestica, una delle tante forme che assume la schiavitù moderna. Quest’ultima viene definita dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro come “situazioni di sfruttamento dalle quali una persona non può sottrarsi a causa di minacce, violenze, costrizione, inganno e/o abusi di potere”.
La schiavitù domestica, di cui la gran parte delle vittime sono bambine sotto i 16 anni, è nella maggior parte dei casi la diretta conseguenza di matrimoni forzati, che secondo il Rapporto Unicef del 2023 ammonterebbero a 16 milioni l’anno. Questo rischio è aumentato a seguito della recessione economica e dalla chiusura forzata delle scuole a causa della pandemia.
In merito, Stefania Piccinelli, Responsabile Programmi Internazionali di WeWorld spiega che:
“le spose bambine sono costrette dal partner a vivere in condizioni di semi-schiavitù e a prendersi cura di faccende domestiche, dei figli spesso avuti prematuramente e dei genitori anziani a carico. L’educazione è un fondamentale fattore protettivo, che preserva da queste forme di sfruttamento. Investire nell’educazione di bambine è lo strumento più forte che abbiamo per combattere le schiavitù moderne.”
Il fenomeno in Italia
Secondo l’ultimo rapporto del GRETA – Gruppo di esperti sulla lotta contro la tratta di esseri umani, organismo indipendente del Consiglio d’Europa – l’Italia rimane uno dei principali luoghi di destinazione finale delle vittime della tratta di esseri umani, nonché una tappa di transito per altre mete europee. La maggior parte delle possibili vittime di tratta è donna (circa l’80%), ma la percentuale di uomini e di persone trans* è aumentata nel corso degli anni considerati.
Se il numero delle vittime di tratta stimato dalle autorità italiane è calato durante la pandemia da COVID-19, questo è poi ricominciato a salire raggiungendo le 2.422 nel 2022. Questi dati, tuttavia, risulterebbero sottostimati in quanto, come avviene per altri tipi di violenza e di sfruttamento, una parte del fenomeno rimane sommersa. Ciò potrebbe essere dovuto alle norme vigenti nel nostro paese in materia di immigrazione, note per essere particolarmente restrittive. La scarsità di canali legali per entrare in Italia, unita alla paura di essere detenute nei Centri di Permanenza e Rimpatrio e, successivamente, espulse dall'Italia, potrebbe spingere le persone vittime di tratta – il più delle volte senza un regolare permesso di soggiorno – a non denunciare gli abusi subiti.
In Italia monitoriamo il fenomeno della tratta di persone in vari ambiti e territori: laddove vi sono situazioni di vulnerabilità - dati, ad esempio, dalla fragilità economica, dal background migratorio o dall’essere donne – cerchiamo di operare attraverso attività di sensibilizzazione e interventi diretti per garantire una tutela più efficace ed estesa.
Nel 2022, le vittime di tratta identificate sono state 1.823 (di cui 1.224 donne e 46 minori), per più della metà provenienti dalla Nigeria (57,4%). Il principale ambito dello sfruttamento è stato quello sessuale (44,7% dei casi), seguito da quello lavorativo (23,4%).
La tratta di persone vista dalla frontiera: il nostro lavoro
Dal 2016 come WeWorld siamo presenti a Ventimiglia, sul confine italo-francese, uno dei punti di snodo più importanti d’Europa all’interno della Rotta Balcanica. Per diverso tempo, la sospensione unilaterale da parte del governo francese del Trattato di Schengen nel 2015 ha causato il respingimento alla frontiera di migliaia di persone, tra cui donne e minori stranieri non accompagnati. Queste persone sono state così costrette a stazionare a Ventimiglia, rischiando così di cadere vittime di reti criminali che organizzano attraversamenti irregolari e delle frontiere e tratta di esseri umani a fini di sfruttamento.
Come abbiamo raccontato nel nostro Report Inter-Rotte di WeWorld, Storie di donne e famiglie al confine di Ventimiglia, uscito nel 2023, l’anno scorso abbiamo assistito a una femminilizzazione dei flussi: se, in passato, si registrava la prevalenza di migranti uomini o nuclei familiari, per circa due anni il numero di donne non accompagnate o in transito con bambini/e a seguito è continuato a crescere.
“Quando sono arrivata in Italia, sono stata mandata in un centro di accoglienza vicino a Napoli, dove sono rimasta una settimana, poi da lì ho chiamato un uomo nigeriano che è venuto a prendermi per portarmi, prima, in una casa a Bologna, poi, a Roma. Ho vissuto in un appartamento con altre ragazze e per un anno, tutte le notti, sono dovuta andare per strada a prostituirmi. Se non riuscivo a trovare clienti o non portavo soldi, venivo picchiata da quell’uomo […], sono scappata in Germania dove ho fatto richiesta d’asilo. Purtroppo, però, in quel periodo ho incontrato di nuovo il boga che mi aveva portata in Italia che mi ha ricattata, dicendomi che se non volevo che l’altro boga in Italia sapesse dov’ero, dovevo pagargli 500 euro al mese”.
Testimonianza di Princess, 25 anni, Nigeria (contenuta nel report Inter-rotte)
Anche se quest'anno abbiamo riscontrato un numero minore di donne che viaggiano da sole, il fenomeno persiste: da gennaio, sono almeno 396 le donne (di cui 14 incinta) che si sono rivolte ai nostri servizi a Ventimiglia (accoglienza emergenziale, sportello socio-legale e outreach). Provenienti principalmente da Eritrea, Etiopia, Costa d'Avorio, Nigeria e Tunisia, rimangono esposte al rischio di tratta, principalmente a scopo di servitù domestica.
Proprio per l’estrema mutabilità della situazione, è necessario monitorare il fenomeno, fare rete ed essere presenti alle frontiere.
Per monitorare al meglio gli spostamenti interni delle persone, in particolare di donne e ragazze migranti potenziali vittime di tratta, e offrire loro assistenza e supporto, nel febbraio del 2023 a Ventimiglia è stata inaugurata la rete Beyond Borders. La rete, che conta della collaborazione di diverse organizzazioni francesi, tedesche e italiane, cerca in particolare di comprendere la natura dei cosiddetti spostamenti secondari, ossia gli spostamenti dal Paese di arrivo a un altro.
Tratta e capolarato: la morte di Satnam Singh è solo la punta dell'iceberg di un fenomeno che denunciamo da anni
Nel nostro paese il fenomeno dello sfruttamento lavorativo, in particolare nel settore agricolo, è assai diffuso. Nel 2018 lo sfruttamento agricolo riguardava 1 bracciante su 6, mentre 1 su 4 nel 2022, di cui l’80% migranti.
Infatti, con l’aumento dei flussi migratori nell’ultimo decennio, sempre più persone straniere si trovano costrette a fungere da manodopera a bassissimo costo, lavorando come braccianti nella nostra filiera agroalimentare.
Non disponendo di regolari permessi di soggiorno, spesso le persone migranti accettano di essere impiegate in settori lavorativi più inclini allo sfruttamento, come quello agroalimentare, aumentando le probabilità di cadere nelle reti della criminalità organizzata e nel fenomeno del caporalato. Il caporalato è una forma illegale di organizzazione e reclutamento dei lavoratori, dove si ricorre a braccianti pagati a giornata reclutati da intermediari illegali, chiamati appunto “caporali” che trattengono per sé una parte compenso. Le paghe dei lavoratori e delle lavoratrici sfruttate sono molto più basse rispetto ai minimi salariali per un numero di ore che, di solito, si aggira intorno alle 12-14 al giorno.
Nonostante nel 2011 sia stata introdotta una legge penale per il contrasto del caporalato, le cui pene sono state inasprite nel 2016, nuovi episodi e situazioni di sfruttamento continuano a emergere. Le aree dove lo sfruttamento dei braccianti è più radicato sono numerose: dall’Agro Pontino al Veneto fino alla Campania e al Foggiano. Negli ultimi anni, infatti, diverse inchieste e indagini hanno portato alla luce l’esistenza di diffusi fenomeni di sfruttamento, emarginazione e violenza subiti da lavoratori migranti irregolari e senza permesso di soggiorno.
L’analisi di WeWorld del 2021 e i quattro rapporti realizzati recentemente nell'ambito del progetto "Our Food Our Future" finanziato dalla Commissione Europea all’interno del Programma DEAR (Development Education and Awareness Raising Programme) fanno emergere un sistema in cui il controllo, l’umiliazione, l’intimidazione e il ricatto rappresentano strumenti generalizzati di pressione e repressione tese a rafforzare l’isolamento ed evitare forme di ribellione.
La ricerca di WeWorld si è concentrata in modo particolare sulla situazione delle donne, le lavoratrici, nella filiera agro-alimentare, con testimonianze dirette che fotografano la condizione di estremo sfruttamento, assenza di sicurezza, precarietà, mancanza dei diritti basilari in molte aziende agricole.
In un tale contesto, le lavoratrici migranti sono vittime di un doppio sfruttamento, in quanto maggiormente a rischio di subire ulteriori forme di discriminazione e violenza. Tuttavia, barriere linguistiche, culturali e di integrazione, da un lato, e dall’altro il sistema normativo vigente in tema di lavoro e migrazione, rendono pressoché impossibile garantire la protezione dei diritti umani e della dignità delle donne migranti in agricoltura.
La storia di Satnam Singh – lavoratore agricolo indiano morto dissanguato a causa di un incidente con un macchinario dell’azienda di Latina nella quale lavorava – ha riacceso i riflettori sui fenomeni di caporalato nei nostri distretti ortofrutticoli.
Per noi è stato cruciale prendere posizione su questo ennesimo gravissimo episodio, chiedendo alle istituzioni interventi diretti e decisi per condannare e sradicare lo sfruttamento di tutte le persone nei posti di lavoro, aumentando le risorse per assicurare maggiori controlli, da un lato, e assicurando una completa protezione per chi denuncia e per le vittime dall'altro.
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