Ogni anno, il 30 luglio celebriamo la Giornata Internazionale contro la tratta di persone, istituita dalle Nazioni Unite nel 2013 per richiamare l’attenzione su questa moderna forma di schiavitù e sulla necessità di proteggere i diritti umani delle vittime: il diritto alla vita, a un lavoro dignitoso, alla salute, la libertà da schiavitù e da lavori forzati, la libertà da torture e trattamenti crudeli, inumani o degradanti.

La tratta, commessa a scopo di sfruttamento sessuale o lavorativo da vere e proprie reti criminali associate, colpisce spesso persone in condizioni di fragilità, che sono più facili da adescare e mantenere sotto il controllo dei trafficanti con la (falsa) promessa di un futuro migliore. Infatti, solitamente,le vittime vivono in situazioni di povertà, appartengono a minoranze (etniche, religiose, culturali), provengono da ambienti socioeconomici marginalizzati, da Paesi a basso reddito o da zone di conflitto. 

Chi sono e quante sono le vittime della tratta

Tra il 2019 e il 2021, la pandemia e i lockdown hanno causato una diminuzione delle vittime identificate a livello globale pari all’11%. Il fenomeno è, però, molto difficile da misurare e i dati di cui disponiamo non rispecchiano fedelmente la realtà. Secondo l’ultimo Rapporto del Dipartimento di Stato americano, nel 2023 si registrano 27,6 milioni di vittime di tratta e, tra queste, 6 su 10 sono donne e bambine. In particolare, queste due categorie sono più esposte non solo al rischio di tratta, ma anche alla probabilità di subire violenza: donne e ragazze sono tre volte più a rischio di violenza fisica o sessuale rispetto a uomini o ragazzi, mentre per bambine e bambini questa probabilità è di circa due volte superiore rispetto agli adulti.

La tratta di persone è connessa anche ai flussi migratori perché spesso sono proprio le persone migranti a esserne vittime. Infatti, queste possono cadere nelle reti dei trafficanti ed essere ingannate dalla promessa di una vita più dignitosa, nel Paese di transito o di destinazione. Anche lungo le rotte migratorie possono cadere vittime di estorsione o reclutate a fini di sfruttamento lavorativo, soprattutto nei casi in cui siano migranti irregolari e temano le conseguenze negative di questo status (per esempio, la detenzione). In Italia, nel 2022, le vittime di tratta identificate sono state 1.823 (di cui 1.224 donne e 46 minori), per più della metà provenienti dalla Nigeria (57,4%). Il principale ambito dello sfruttamento è stato quello sessuale (44,7% dei casi), seguito da quello lavorativo (23,4%).

La differenza tra tratta di persone e traffico di migranti

La tratta di persone consiste nel reclutamento, rapimento o adescamento di una persona, con minaccia, uso della forza o abuso della sua posizione di vulnerabilità, per fini di sfruttamento sessuale o lavorativo. Dunque, è caratterizzata da una mercificazione della vittima e dalla sua sottoposizione al controllo del trafficante. Si tratta di un reato contro la persona perché, visto il fine dello sfruttamento, ne viola i diritti umani e la dignità personale.

Il traffico di persone migranti, invece, consiste nell’introdurre illegalmente una persona nel territorio di uno Stato (cioè violandone le leggi in materia di immigrazione) ed è caratterizzato dal consenso del/la migrante, che chiede al trafficante di essere trasferito/a. Per questo, diversamente dalla tratta, il traffico di migranti è un reato a danno dello Stato.

I due fenomeni, però, sono spesso collegati perché le vittime di tratta intraprendono il proprio viaggio con la speranza di trovare una sistemazione migliore all’estero. Quindi, può accadere che prima si verifichi il traffico di persone e poi, durante o dopo lo stesso, quello di tratta.

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