Una mente ferita può produrre grandi opere artistiche ma per uscire dall'isolamento ha bisogno di nuovi sguardi: quelli degli altri. Donne e uomini accomunati da un’esperienza di ospedalizzazione hanno raccontato la loro arte agli adolescenti che partecipano al progetto “My Revolution - Riflessioni sul ’68 per i giovani di oggi” di WeWorld-GVC Onlus. L'incontro con il Collettivo di Artisti irregolari, fondato dall'associazione Premio Nobel per i disabili da Dario Fo e Franca Rame in collaborazione con il Dipartimento di Salute Mentale dell’Ausl, si è tenuto in un luogo significativo: il Roncati di Bologna. E anche per dare voce agli Artisti Irregolari, i giovani rivoluzionari inseriranno nel Manifesto che presenteranno a Bruxelles la richiesta di spazi per chi vuole sperimentare nuovi strumenti di innovazione sociale volti anche a rafforzare l’empowerment femminile e di tutti coloro che hanno vissuto esperienze di disagio.
Ci sono dieci anni tra la nascita della cultura libertaria del '68 e la legge 180 di Franco Basaglia, con la quale si chiudevano i manicomi e si regolamentava il trattamento sanitario obbligatorio. Dieci anni di fervore culturale che hanno anche contribuito a creare un contesto favorevole a una rivoluzione del concetto di cura. Prima d'allora, si mandavano in coma i pazienti con l'insulina per poi praticare su di loro l'elettroshock. E nei duri anni della guerra a finire per essere internate non erano solo persone duramente messe alla prova dalle perdite ma persino quelle donne che semplicemente si discostavano dall'ideale fascista della sposa e madre e “che con le loro condotte intemperanti e la loro inadeguatezza fisica”, come riportato nei documenti dell'epoca, rischiavano di “intaccare il patrimonio biologico e morale dello Stato”.
Così anche bambini e bambine, figli illegittimi o a volte abbandonati dai genitori, legati mani e piedi per giorni. All'interno di quelle mura invalicabili dalla società civile, anche tanti artisti. Tutti, isolati dal mondo. Poi, la legge Basaglia, che ha reso possibile una vera rivoluzione. Solo quarant'anni fa, infatti, prima della 180, l'incontro organizzato all'interno dell'ex manicomio Roncati di Bologna da WeWorld-GVC Onlus tra un gruppo di adolescenti italiani e il Collettivo di Artisti Irregolari fondato dal Comitato Nobel per i Disabili di Dario Fo e Franca Rame in collaborazione con l’Ausl di Via Pepoli 5 e oggi presieduto da Jacopo Fo, sarebbe stato impossibile. E invece i ragazzi che partecipano al progetto “My Revolution”, sostenuto dall'Unione europea, hanno avuto l'occasione di ascoltare le testimonianze degli artisti che hanno sperimentato percorsi di cura, alcuni anche negli anni in cui non era ancora attiva la Legge Basaglia, e che fanno parte di quella che all'estero viene riconosciuta ufficialmente come “Outsider Art”.
Anche per loro, i giovani che fanno parte del progetto volto ad avviare una riflessione sugli effetti del '68 sulla società moderna e sulle rivoluzioni ancora necessarie in Europa, inseriranno la richiesta di avere più spazi da destinare al riutilizzo sociale e racconteranno l'esperienza fatta da questi artisti ad altri giovani europei durante due incontri che si terranno a Vienna e Cracovia per poi fare sintesi e inserire una proposta concreta all'interno del Manifesto che presenteranno al Parlamento Europeo a Bruxelles. “Il Collettivo ha dato l'occasione a artiste e artisti di attivarsi per rendere le loro opere visibili e commercializzabili, e questo ha funzionato molto bene, anche grazie ad un sito dedicato all'arte irregolare dove le opere vengono vendute direttamente dagli artisti in base alle loro valutazioni e contrattando direttamente con gli acquirenti. Purtroppo il Collettivo Artisti Irregolari non dispone di una sede propria dove gli artisti possano trovarsi e lavorare insieme – racconta Cinzia Lenzi - mostre virtuali e reali, però, stanno aiutando a incentivare la loro autonomia e la ricerca di spazi e risorse.
Al Collettivo partecipano persone che non uscivano di casa da anni ma attraverso l'arte e questa esperienza hanno ricominciato a relazionarsi”. Importante, dunque, l'effetto di empowerment che il Collettivo ha prodotto su chi ha difficoltà nel comunicare emozioni e sentimenti al mondo esterno”. Molto forti le esperienze delle donne. “Io ho un legame particolare con S. una delle prime artiste che ho conosciuto . C’è una opera che rappresenta l'inizio della sua malattia e è una sua trasfigurazione, un autoritratto – continua Cinzia-. Mi ha colpito moltissimo come abbia rappresentato questo momento di cambiamento che percepiva dentro di sé. Ma ciò che conta è capire che queste opere hanno un valore intrinseco, le possiamo valutare per la loro bellezza a prescindere dallo stato di salute dell'artista”.
Tra le donne del Collettivo, a riportare la sua testimonianza c'è stata A., giovane bellissima di origine africana, che sognava di lavorare nel mondo informatico e che si è specializzata nella modellazione 3D. “Creo personaggi misti al computer, per poi modellare gli oggetti, animarli e farli parlare. Purtroppo nel 2014 ho avuto un sovraccarico mentale ma il Collettivo mi ha aiutato a riprendermi” ha spiegato ai giovani. “Nel '68, io avevo 14 anni e il mio sogno era scappare di casa – le fa eco un'altra donna – ma ho dovuto lavorare sempre come un asino. Quando sono tornata a scuola, mi sono trovata male perché erano troppo diversi da me e adesso non ho nemmeno la pensione. Gli effetti della rivoluzione io non li ho visti. Però l'arte e il gruppo mi hanno aiutata e un giorno vorrei diventare Art advisor, per aiutare a vendere e commercializzare le opere”. “L'esperienza dell'arte irregolare è una esperienza artistica e umana. Qui ho trovato degli amici” ha aggiunto un'altra artista. “Per noi avere una sede sarebbe molto importante” spiega G. “Una delle artiste del Collettivo ha autonomamente colto una occasione importante per proporre le opere del gruppo all'interno di una mostra tenutasi a Palazzo d'Accursio che ha curato personalmente. Si tratta di donne dalla grande forza interiore, capaci di reagire. Insieme al Collettivo, poi, siamo stati persino in mostra a Tokyo e facciamo continui incontri con le scuole e i giovani” aggiunge Concetta Pietrobattista, educatrice professionale e coordinatrice dei progetti di Arte e salute del Dipartimento di Salute mentale del Ronconi.
L'incontro con i giovani di My Revolution ha contribuito a scardinare il pregiudizio nei confronti di chi soffre di disagio psichico e delle loro famiglie. “E' difficile spiegare a dei giovani quale sia la solitudine profonda sperimentata da molti artisti che sentono le voci e hanno un vissuto di invasione continua dei loro pensieri e subiscono gli effetti della stigmatizzazione e dell'isolamento – spiega Cinzia Lenzi, tra le fondatrici del Collettivo-. Eppure, abbiamo provato a spiegare ai ragazzi che hanno partecipato all'incontro che si tratta di un’esperienza che appartiene all'essere umano, che esiste la possibilità di avere dei momenti di scompenso emotivo ma che è un problema che si affronta come tutti gli altri e sono certa che ai giovani sia arrivato il coraggio e la competenza di questi artisti che è da insegnamento per tutti”. Durante l'incontro, è emersa una convinzione: la rivoluzione non si è arrestata con la Legge Basaglia né con la chiusura degli ex Ospedali psichiatrici giudiziari che si è avuta solo nel 2015. Non solo deve essere estesa all’Europa e al mondo ma oggi, la vera rivoluzione dovrà essere quella di aiutare chi soffre di disagio psichico a integrarsi e a rompere la barriera dell'incomunicabilità, anche favorendo esperienze artistiche come quelle del Collettivo.
Bologna, 06 06 2019