In Italia, l’estate non è uguale per tutte le persone. Tre mesi di scuole chiuse - una delle pause più lunghe d’Europa - che mettono alla dura prova famiglie e comunità. Quasi 1 famiglia su 2 segnala difficoltà di bambine, bambini e adolescenti nella ripresa scolastica. 3 su 10 notano perdita di competenze o peggioramenti relazionali.  

Questi sono solo alcuni dei risultati del nostro sondaggio lanciato a luglio 2025, che insieme al duo Mamma di Merda - progetto di divulgazione dissacrante e ironico sulla maternità - abbiamo chiesto alle famiglie italiane di raccontare come vivono questa stagione. Più di 3.000 risposte e quasi 1.000 testimonianze compongono un racconto collettivo, fatto di fatiche, ma anche di proposte che guardano al futuro. Un punto di partenza per aprire un dialogo vero con le istituzioni, e ripensare il tempo scuola, partendo dall’esperienza diretta di bambini, bambine, famiglie e la più ampia comunità educante. 

La lunga pausa estiva è un tempo vuoto che ricade quasi interamente sulle famiglie, trasformandosi in un esercizio quotidiano di equilibrismo tra costi, ferie e lavoro. Ma non si tratta solo di una questione organizzativa: è una questione di diritti, benessere e pari opportunità.  

Quando le scuole chiudono, la conciliazione tra gestione familiare e impegni lavorativi diventa una sfida concreta per moltissime famiglie italiane. Un genitore su 20 arriva persino a rinunciare a opportunità lavorative o ad abbandonare il lavoro per far fronte alla gestione del tempo estivo. 

In questo scenario, le disuguaglianze si amplificano: i centri estivi rappresentano un’opzione troppo costosa per molte famiglie, e le alternative accessibili sono poche. Così, per molte bambine, bambini e adolescenti, l’estate rischia di trasformarsi in un tempo sospeso: senza spazi sicuri dove crescere, imparare e relazionarsi, aumentano isolamento e vulnerabilità. La situazione è ancora più critica nei contesti fragili - dove le opportunità educative e ricreative sono più scarse - o quando in famiglia è presente una disabilità.   

In base alle risposte ricevute - per la maggioranza da parte di donne - a pagare il prezzo più alto sono spesso le madri, su cui continua a ricadere in modo sproporzionato il carico del lavoro di cura. 

“Io non lavoro perché non avendo grossi aiuti ho dovuto lasciarlo. Un periodo scolastico più spezzato, un tempo pieno durante l'anno e un’offerta scolastica garantita anche ad agosto mi permetterebbero di tornare a lavorare non solo per un guadagno economico, ma anche per evitare il burnout di cui io e tanti genitori soffriamo”. 

Sebbene, più di 4 famiglie su 5 iscrivono figlie e figli al centro estivo, questa possibilità varia molto a seconda di dove si vive, della composizione della famiglia e della presenza di figli con disabilità. Al sud, sono 3 su 5.  

La spesa media è di circa 530 euro a figlio o figlia per l’intera estate, per un’iscrizione che in genere copre 4 settimane e mezzo, a fronte di una pausa scolastica che dura 13 o 14 settimane. A questa spesa si aggiungono anche altri costi per coprire il buco dei centri estivi, come baby-sitter o altre figure educative.    

Le famiglie con figli o figlie con disabilità che scelgono i centri estivi sono meno, circa 7 su 10, a causa di difficoltà di accesso o per un’offerta di servizi inclusivi ancora insufficiente. Chi non riesce a ricorrere a questa soluzione, presenta un quadro più complesso in termini di spesa. In questi casi, la spesa di: 460 euro è più alta rispetto alla media nazionale (che si attesta invece a 338 euro a figlio/a) di chi sceglie soluzioni alternative ai centri estivi perché probabilmente chi ha figli e figlie con disabilità deve cercare figure specializzate. 

Socializzare anche in estate

Stare con amici e amiche e giocare insieme è fondamentale per la crescita di bambini e bambine e adolescenti. Non si tratta solo di divertirsi, ma anche di imparare, confrontarsi tra pari e sentirsi bene. Ma durante l’estate, molti minori in Italia perdono questa possibilità. Nel complesso, più di 4 famiglie su 10 (42%) dicono che, bambini e bambine non hanno potuto mantenere rapporti con amici e amiche durante l’estate. Se le famiglie hanno figlie e figli con disabilità, questi ostacoli spesso si sommano, amplificando le distanze, e il dato sale a quasi 6 su 10.  

È sempre difficoltoso riuscire a mantenere le relazioni con i compagni durante l’estate. I figli unici soffrono maggiormente la solitudine estiva.  A settembre spesso è tutto da ricostruire, quando sono piccoli se passano mesi si ‘dimenticano’ dell’amicizia.”   

Perdita delle competenze

La lunga pausa estiva si riflette non solo sul benessere, ma anche sull’apprendimento dei bambini e delle bambine. Chi non ha accesso a opportunità educative, anche durante l’estate, è esposto anche a conseguenze sul lungo periodo come: bocciature, abbandono scolastico, aumento della povertà educativa e sul cosiddetto summer learning loss. Quasi 1 famiglia su 2 (46%) segnala difficoltà dei figli e delle figlie nella ripresa della scuola a settembre, mentre circa 1 famiglia su 3 (31%) osserva una perdita di competenze scolastiche o un peggioramento nel comportamento e nei rapporti sociali.  

Ritengo che così tanti mesi a casa "senza scuola" non siano un bene per i nostri figli. Ci sono i compiti delle vacanze è vero, ma prendiamo come esempio il caso di mia figlia, che ama andare a scuola ed è bravissima: in questi mesi ha poca voglia di fare i compiti perché poco stimolata e si è disabituata al contesto scolastico”. 

I risultati di questo sondaggio non sono solo una fotografia dell’esistente, ma un invito all’azione. Sono state raccolte voci di famiglie che raccontano una realtà che non può più essere ignorata: l’estate, non è solo una pausa scolastica, è un periodo che amplifica le disuguaglianze. Con la campagna, insieme a Mamma di Merda, “Ristudiamo il calendario” - e la petizione che ha già raccolto oltre 75.000 firme - proponiamo di ridisegnare il tempo scuola, per renderlo più vicino alla vita reale delle famiglie e garantire i diritti di bambini e bambine, senza ampliare le disuguaglianze. I dati raccolti servono per costruire politiche, per pretendere che la realtà di chi vive queste difficoltà ogni anno venga finalmente ascoltata. È una questione di diritti, di giustizia sociale, di non lasciare nessuna persona ai margini.