Anche quest’anno è giunto il momento della ricorrenza di cui meno ci piace parlare: se questo fenomeno fosse almeno in diminuzione, sarebbe diverso, e attenuerebbe la nostra frustrazione. Purtroppo però le statistiche UNHCR parlano chiaro: 34.000 persone ogni giorno vivono il dramma di dover abbandonare la propria vita e le proprie case, scappando da morte e violenze. Un esercito visibile ma senza voce, di cui purtroppo si parla frequentemente ma spesso a sproposito.

Ma di cosa parliamo quando parliamo di rifugiati?

La nostra impressione come ONG impegnata da anni sul campo (eravamo in Siria quando questa terra oggi martoriata da cinque anni di conflitto accoglieva i rifugiati iracheni), è che la quantità di volte in cui si nomina questa problematica sia inversamente proporzionale all’approfondimento e alla cognizione di causa con cui se ne parla.

Prima di tutto, si tratta di una questione che riguarda 65.3 milioni di persone in tutto il mondo (lungi dall’essere concentrate solo in Medio Oriente, anche se certamente i conflitti aperti in quell’area hanno enfatizzato il problema): il 54% proviene sì da Siria e Afghanistan (anche se di questo paese non se ne parla praticamente più), ma anche dalla Somalia, a causa della guerra in corso Sudan (anche su di essa, un silenzio assordante). Di 21,3 milioni di rifugiati, la metà ha meno di 18 anni. All'età in cui i coetanei italiani pensano di prendere la patente, c'è chi non sa se sopravviverà a un viaggio in mare o se troverà del filo spinato ad accoglierlo.
Nella regione mediterranea, che ci interessa in quanto italiani ed europei, fino ad oggi nel 2016 sono arrivati via mare 211.563 persone (1.015.078 nel 2015). Non per diminuirne l’importanza, dato che solo quest’anno ne sono morte 2.868, in mare, ma rispetto ai 65 milioni totali i numeri si ridimensionano immediatamente. Ancora di più, se si pensa che in Italia sono arrivati 52.637 richiedenti asilo, mentre in Grecia siamo già a quota 157.574.

Ma cosa ci dicono questi numeri?

Innanzitutto che, la dimensione dell'emergenza rifugiati richiede necessariamente una politica migratoria umana. Dietro ai numeri ci sono i volti di donne, bambini, giovani, persone che conosciamo bene, e con cui lavoriamo in Libano, in Siria e in Grecia cercando di fornire una via d’uscita e una speranza per il futuro.

L’accordo UE-Turchia del 20 marzo scorso, di cui abbiamo già denunciato la miopia e la mancanza di risposte efficaci, è la prova lampante della mancanza di una leadership istituzionale forte, al momento unica via di soluzione possibile, con qualche chance reale di incidere in modo positivo per le vite umane che si celano dietro i numeri. Istituzioni e Governi devono impegnarsi per garantire un quadro legislativo internazionale condiviso che permetta l’accesso ai diritti civili e legali (accesso all’educazione, alla sanità, al lavoro) dei richiedenti asilo alla pari con quelli delle comunità ospitanti, che devono a loro volta essere supportate. Il diritto d’asilo, l’accesso ai servizi basici per una vita degna e il principio di non respingimento devono essere garantiti.

L’azione umanitaria necessita di una soluzione politica, un impegno globale che non lasci davvero nessuno indietro. Nel frattempo, è necessario provvedere all’accoglienza con alloggi, acqua e servizi igienico-sanitari; promuovere l’inclusione all’interno delle comunità ospitanti ed evitare conflitti sociali con i gruppi vulnerabili; riconoscere e sostenere un ruolo attivo dei migranti e dei rifugiati, auto-promotori dei propri diritti e attori protagonisti nell’identificazione di risposte ai propri bisogni; fare sistema con altre organizzazioni per adottare criteri e principi omogenei di aiuto, attivando meccanismi integrati di risposta; sensibilizzare e mobilitare l’opinione pubblica nei paesi di origine e di accoglienza, realizzando attività di advocacy, collaborando e stimolando le autorità e la società civile. 

GVC, come tante altre organizzazioni impegnate nell’assistenza umanitaria e insieme a queste, è intervenuta con forza per assicurare il pieno rispetto dei diritti internazionalmente riconosciuti sulla base di cinque pilastri operativi: garantire l’accoglienza, promuovere l’inclusione, riconoscere e sostenere un ruolo attivo dei migranti e dei rifugiati, fare sistema con altre organizzazioni, sensibilizzare e mobilitare l’opinione pubblica.

Sulla base di questi principi, in Libano, Siria e Grecia abbiamo portato sostegno e assistenza a migliaia di rifugiati, definendo le necessità più urgenti e coinvolgendo beneficiari diretti insieme alle municipalità. Abbiamo attivato focal point al confine tra il Libano e la Siria che hanno migliorato le condizioni di vita dei rifugiati fornendo alloggi, acqua e mezzi di sostentamento.

Abbiamo iniziato a porre le basi per delle soluzioni durature ed efficaci, anche nel lungo periodo, con la convinzione che nessuno debba essere lasciato indietro.