Tra le 12 e le 14 settimane, a cui si aggiungono i giorni di chiusura previsti durante le festività. È il periodo di interruzione didattica del sistema scolastico italiano, che prevede una delle pause estive più lunghe d’Europa, comune a tutti gli ordini di scuola. Questa interruzione non solo acuisce la perdita di competenze cognitive e relazionali di bambini, bambine e adolescenti, moltiplicando le disuguaglianze, ma impedisce la conciliazione vita-lavoro per tante famiglie costrette a destreggiarsi tra campi estivi costosissimi e mancanza di valide alternative.
Da tempo lavoriamo per creare una scuola democratica che tenga conto delle reali esigenze di studenti e famiglie. Per questo abbiamo lanciato la petizione “RISTUDIAMO IL CALENDARIO! Un nuovo tempo scuola NON è più RIMANDABILE” sulla piattaforma Change.org, in collaborazione con il duo MammadiMerda: un invito alle istituzioni ad ascoltare la voce delle famiglie e rimodulare il tempo scuola, modificando il calendario scolastico e introducendo il tempo pieno.
Ma come è gestito il calendario scolastico?
In Italia sono previsti un minimo di 200 giorni di lezione comuni alle scuole di ogni ordine e grado. Le decisioni in merito al calendario vengono prese su due livelli: da un lato, il Ministero dell’Istruzione emana ogni anno una circolare sulle date delle festività nazionali (pubbliche e religiose), che valgono per ogni ordine e grado; dall’altro ci sono le Regioni, che fissano la data di inizio e fine delle lezioni, e gli eventuali ulteriori giorni di chiusura nei periodi di festività, in linea con le indicazioni ministeriali.
Un calendario vecchio quanto il ciclo del grano
Ma perché la pausa estiva dura così tanto? Il calendario scolastico italiano segue il ciclo del grano perché in origine era nato per permettere anche a chi proveniva da famiglie contadine di frequentare le lezioni durante il resto dell’anno, per aiutare con la mietitura nei mesi estivi. Da allora, questa impostazione non è mai cambiata e, paradossalmente, se applicata al contesto storico per il quale era stata pensata, rappresentava una misura addirittura inclusiva per le famiglie italiane. Oggi, invece, si dimostra anacronistica e lontana dai loro reali bisogni.
I problemi derivanti dall’attuale calendario scolastico
- La perdita di competenze
Questo calendario ha effetti soprattutto su studenti e studentesse: infatti, durante le vacanze estive rischiano di perdere le competenze apprese durante l’anno scolastico appena trascorso, un fenomeno che prende il nome di “summer learning loss”.
Il conseguente mancato raggiungimento del livello minimo di competenze, definito “dispersione implicita”, ha un grosso impatto sui risultati scolastici, e va ad aumentare le probabilità di abbandono scolastico soprattutto tra studenti e studentesse che provengono da contesti socioeconomici meno abbienti. Esiste infatti una forte correlazione tra lo sviluppo delle competenze cognitive e non cognitive e l’abbandono scolastico: chi acquisisce maggiori competenze ha meno probabilità di abbandonare gli studi e ha maggiore motivazione a proseguire e completare il ciclo di istruzione (WeWorld 2021, La scuola che vorremmo. Rimodulare il calendario scolastico). Nel 2023, la percentuale di giovani con un’età compresa tra i 18 e i 24 anni che hanno abbandonato precocemente gli studi è pari a 10,5%, un valore tra i più alti in Europa (la media europea è pari al 9,5%), che vede l’Italia al quintultimo posto della classifica. Al Sud, l’incidenza raggiunge il 14,5% (Istat, 2024)
- L’aumento delle disuguaglianze
È importante ricordare che il bagaglio culturale che bambini, bambine e adolescenti accumulano si costruisce non soltanto attraverso la scuola, ma anche in famiglia e nei contesti di riferimento.
Secondo la cosiddetta “teoria del rubinetto”, durante l’anno scolastico gli studenti e le studentesse possono attingere alle risorse che la scuola mette loro a disposizione, a prescindere dal contesto di provenienza. La pausa estiva potrebbe rappresentare un’ottima occasione per mantenere aperto questo “rubinetto”, rafforzare competenze e conoscenze e accrescere il proprio capitale umano partecipando ad attività sociali, sportive e culturali, grazie all’offerta di centri estivi, parrocchie e altre realtà.
Non tutte le famiglie, però, dispongono delle risorse per permettere ai propri figli e figlie di accedere a opportunità educative durante l’estate. Inoltre, non tutti i territori del nostro paese garantiscono lo stesso tipo di offerta, che si concentra, infatti, nei Comuni più grandi e serviti e nel Centro-Nord del Paese (Openpolis, 2024). Di conseguenza, chi proviene da contesti socioeconomici svantaggiati, o a bassa densità educativa, corre il rischio di esclusione da queste attività e ha, quindi, minor probabilità di dedicarvisi durante le vacanze estive.
Allo stesso tempo, anche un anno scolastico senza pause che diano il tempo a studenti e studentesse di riposare è controproducente: il 75% afferma di vivere “sempre” o “spesso” episodi di stress causati dalla scuola, e circa la metà dei ragazzi e delle ragazze dichiara che vivrebbe la scuola con meno stress se il carico di studio a casa fosse minore. Molti vorrebbero più attività extracurriculari e spazi di socializzazione (Unisona Live-UNICEF, 2024).
- Il peso sulle famiglie
L’attuale sistema è una questione spinosa non soltanto dal punto di vista dell’apprendimento. Per molti genitori una pausa estiva così lunga rappresenta un vero e proprio problema economico perché, alla chiusura delle scuole, molti sono costretti a dover trovare una soluzione per gestire i/le propri/e figli/e. Alcune famiglie possono contare sul supporto di nonni e nonne, un appoggio che negli ultimi anni è sempre più precario: molti lavorano ancora o sono troppo anziani per poter stare insieme ai/lle propri/e nipoti per un tempo così prolungato.
Chi non può contare su nonni e nonne, dunque, deve rivolgersi ad altre figure o a centri estivi dai prezzi proibitivi per la maggior parte delle famiglie. In media, il costo per una settimana di centro estivo è di 154,30 euro (più alto del 9,8% rispetto ai 140,50 euro registrati nel 2023), per un totale di 1.234 euro se contiamo le circa otto settimane di pausa estiva – escluse le quattro di vacanza vera e propria che in media fanno le famiglie (ADOC Nazionale, osservatorio Eures-Adoc, 2024).
Alcune testimonianze raccolte attraverso la campagna social #CambiamoilCalendario dell’agosto 2022, che abbiamo promosso insieme a MammadiMerda, confermano le difficoltà che le famiglie incontrano durante il periodo estivo (WeWorld 2022, La scuola non va in vacanza)
“Tre mesi senza scuola non sono sostenibili, né per i genitori né per i bambini. Durante questi mesi si potrebbero organizzare altre attività socioeducative. Avvicinarsi a un campo estivo è economicamente impossibile in alcuni casi, e se possibile ci vogliono stipendi interi per pagarli.”
“Per affrontare i mesi estivi ho deciso di non lavorare in estate, rinunciando al mio stipendio. Ho 3 figli e i centri estivi hanno un costo proibitivo quindi la perdita è minore se non lavoro io.”
La nostra proposta…
Con la nostra petizione chiediamo un nuovo tempo scuola e una scuola aperta attraverso:
- La rimodulazione del calendario scolastico con l’introduzione di più pause durante l’anno e conseguente apertura delle scuole anche nei mesi di giugno e luglio, mantenendo gli attuali 200 giorni di lezione ma distribuiti in maniera diversa. Le pause aggiuntive introdotte durante l’anno e l’apertura durante l’estate non comporterebbero ulteriori attività didattiche, ma la possibilità di partecipare volontariamente ad attività laboratoriali, sportive e culturali organizzate all’interno degli spazi scolastici dal Terzo Settore e da organizzazioni specializzate.
- L’introduzione del tempo pieno dai 3 ai 14 anni in tutte le scuole per offrire a studenti e studentesse la possibilità di scegliere - ovunque - tra tempo pieno e tempo parziale.
… E le principali obiezioni
La proposta di riforma del calendario scolastico ha sollevato, e continua a sollevare, molte domande alle quali abbiamo provato a fornire delle risposte.
- La scuola non è un parcheggio: perché le famiglie dovrebbero mandare bambini e bambine a scuola anche in estate?
La scuola non è certamente un parcheggio, ma è una delle istituzioni fondanti la nostra società, e dove bambini, bambine e adolescenti ricevono un’educazione che non si limita alle conoscenze di base, ma che permette loro di accedere a esperienze culturali, sportive e sociali. In particolare, in contesti di marginalità, la scuola funge da rifugio protettivo e da strumento di emancipazione, contribuendo a combattere la dispersione scolastica e la trasmissione intergenerazionale della povertà. La chiusura delle scuole per tre mesi, insieme alla sospensione di tutte le attività extra-scolastiche, oltre ad ampliare le disuguaglianze comporta per molti di loro l’assenza di stimoli e opportunità di socializzazione.
- La scuola non è adatta alle alte temperature estive, considerando lo stato attuale dell’edilizia scolastica. Perché bambini e bambine dovrebbero andare a scuola anche a giugno e soffrire?
È indiscutibile che il comparto dell’istruzione soffra da molto tempo di problemi strutturali, spesso dovuti alla mancanza di innovazioni e di finanziamenti specifici e a lungo termine, che considerino la scuola come un settore in cui investire per il futuro del paese. In particolare, l’edilizia scolastica presenta carenze sia in termini di accessibilità che di sicurezza: dei 56 crolli registrati quest’anno, il 39% sono avvenuti nelle regioni del Sud e nelle isole, il 38% nel Nord e il 23% nelle regioni del Centro. Oltre ai danni strutturali, i crolli hanno provocato il ferimento di sei studenti e di una collaboratrice scolastica (Federica Pennelli, 2024).
L’edilizia scolastica, dunque, costituisce una priorità assoluta per garantire l’effettivo utilizzo degli ambienti didattici che rappresentano risorse educative fondamentali per la crescita di bambini/e e ragazzi/e. Oltre a garantire la sicurezza delle strutture, è fondamentale l’efficientamento energetico: con l’aumento delle temperature che ha caratterizzato gli ultimi anni, sono poche le strutture dotate di impianti di climatizzazione adeguati e diffusi in tutti gli spazi. A questo proposito, è nel nostro interesse che i fondi del PNRR pensati per l’istruzione vengano utilizzati per rendere le scuole più sicure ed efficienti.
Gli investimenti pianificati per l’istruzione riguardano in primo luogo le infrastrutture: in particolare, la messa in sicurezza e riqualificazione delle scuole e la creazione di nuovi ambienti digitali. Entrambi fanno parte della Componente 1, “Potenziamento dell’offerta dei servizi di istruzione: dagli asili nido all’università”, che dispone nell’insieme di 19,08 miliardi di euro. A questi vanno aggiunti i 1,006 miliardi per le “nuove scuole” incluse nella Missione 2 (“Rivoluzione verde e transizione ecologica”), per un totale di 20,09 miliardi. Considerando le misure relative all’istruzione, al 31 dicembre 2023 la spesa sostenuta equivaleva al 16,8% degli stanziamenti totali, un tasso di avanzamento più basso rispetto a quello del PNRR complessivo (22,1%). Si tratta di una spesa altamente insoddisfacente: ritardi nell’attuazione, tagli ai fondi e difficoltà burocratiche continuano a frenare i già esigui progressi (Fondazione Agnelli e Fondazione Astrid, 2024).
La mancanza di informazioni aggiornate da parte del Ministero dell’Istruzione e di dati sulle risorse assegnate, nonché la poca trasparenza delle misure adottate, delineano una situazione drammatica, target ribassati e vacue riforme che sembrano ostacolare la grandissima opportunità che il PNRR potrebbe rappresentare come spinta per riportare la scuola al centro.
- Se con la rimodulazione del calendario venissero introdotte più pause durante l’anno, per i genitori sarebbe comunque un problema, e anche più frequente, per la gestione dei/lle figli/e.
La proposta di rimodulare il calendario non prevede soltanto l’apertura delle scuole anche nei mesi di giugno e luglio e l’introduzione obbligatoria del tempo pieno, ma di rendere la scuola un luogo aperto tutto l’anno, anche nei periodi di pausa durante l’anno scolastico.
La rimodulazione potrebbe essere introdotta secondo diverse modalità, come la riduzione della settimana di scuola da sei a cinque giorni – cosa che avviene già in alcuni istituti ma non in modo uniforme a livello nazionale –, l’introduzione di un weekend lungo una volta al mese, o alcuni periodi di vacanza con cadenza regolare.
Più pause durante l’anno garantirebbero non soltanto una maggiore continuità nei processi di sviluppo delle competenze, ma avrebbero effetti positivi sul benessere, la salute psicofisica e la capacità di concentrazione di studenti e studentesse, andando a migliorare ulteriormente le loro performance scolastiche.
Oltre alle pause per il Natale, la Pasqua, le Feste nazionali e qualche ponte, il calendario italiano è l’unico a non prevedere pause nazionali durante la stagione autunnale e al termine del primo quadrimestre, e in generale durante il resto dell’anno eccetto per le festività, come invece avviene in altri Paesi europei. La Francia, per esempio, è il paese con maggiore alternanza tra periodi di vacanza e periodi didattici, e le scuole si fermano ogni 6-8 settimane per circa 15 giorni (Eurydice, 2023).
La gestione di figli e figlie durante queste pause è legata alla robustezza delle politiche di conciliazione vita-lavoro, che in Italia risultano di difficile attuazione data la carenza di adeguati strumenti di welfare. Da tempo chiediamo l’istituzione di un tavolo multistakeholder che lavori su un piano a misura delle famiglie per permettere loro di occuparsi dei figli senza sacrificare la propria vita lavorativa, e viceversa.
Come hanno risposto le istituzioni?
A questo proposito un segnale incoraggiante arriva direttamente dal Ministero dell’Istruzione. L’11 aprile 2024 il Ministro Valditara ha firmato un Decreto per lo stanziamento di 400 milioni di euro per finanziare il cosiddetto “Piano estate”, ovvero una serie di percorsi educativi e formativi per il potenziamento delle competenze, l’inclusione e la socialità nel periodo di sospensione estiva delle lezioni, per gli anni scolastici 2023-2024 e 2024-2025.
Destinato a scuole primarie e secondarie statali e paritarie non commerciali, il Piano distribuisce fondi su due anni, prevede 80 milioni di euro in più rispetto allo stanziamento per il biennio precedente e si stima che potrà coinvolgere tra gli 800 mila e gli 1,3 milioni di studenti e studentesse, con 1.714 ore di attività raggiunte (Ministero dell’Istruzione e del Merito, 2024). Il massimale di spesa disponibile per ciascuna scuola è stato determinato in base al numero di studenti e studentesse iscritti alla scuola primaria e secondaria di I e II grado, e il 40% delle risorse totali dovrà essere speso entro il 31 dicembre 2024. Con una nota del 19 aprile, il Ministero ha ampliato il Piano consentendo alle scuole di includere nelle loro proposte attività che si avvalgano dei fondi del PNRR e di fondi europei, al fine di ridurre i divari territoriali nel I e II grado della scuola secondaria e contrastare la dispersione scolastica (Ministero dell’Istruzione e del Merito, 2024).
Il Piano estate è un successo?
Il Ministero ha reso pubblici soltanto i dati complessivi senza chiarire come siano stati distribuiti i fondi, il numero di studenti e studentesse coinvolti/e e la modalità di attuazione delle attività.
In questi giorni su Instagram abbiamo chiesto alla nostra community se le scuole che frequentano i/le loro figli/e abbiano aderito al Piano estate e, se sì, di valutarne i risultati. Le famiglie ci hanno scritto che le loro scuole non hanno aderito, o che i posti disponibili erano pochi e che sono andati esauriti quasi subito, o ancora che le scuole hanno comunicato questa iniziativa soltanto a giugno, quando ormai le famiglie si erano organizzate e avevano già pagato il centro estivo, che solitamente va prenotato con largo anticipo.
I presidi dicono sì alle scuole aperte anche in estate
Tuttavia, seppur lentamente, qualcosa si muove: Antonello Giannelli, presidente dell’Associazione Nazionale Presidi, ha dichiarato in un incontro formativo per dirigenti scolastici che la struttura tradizionalista e rigida della nostra istruzione sta diventando obsoleta, e necessita di un cambiamento radicale.
Si tratta di una visione progressista rispetto al modello educativo tradizionale, che si propone di creare un sistema scolastico più in linea con le esigenze di studenti e studentesse, una scuola aperta che integri lo studio con attività extra-scolastiche all’interno dei suoi programmi.
Anche nella proposta di Giannelli è prevista la rimodulazione del calendario scolastico, con l’abolizione dei tre mesi estivi a favore di vacanze più frequenti durante l’anno (Orizzontescuola.it, 2023)
Ristudiamo il calendario! Un nuovo tempo scuola non è più rimandabile
È necessario ripensare la scuola italiana e ristrutturarla attraverso interventi mirati e multisettoriali, affinché ritrovi la sua funzione perequativa andando a contrastare disuguaglianze e povertà educativa.
Firma anche tu la petizione e aiutaci a costruire un nuovo tempo scuola, che possa garantire il diritto a un’educazione equa, paritaria e di qualità per tutti e tutte, che non aumenti le disuguaglianze e che permetta a bambini, bambine e la libertà di scegliere il proprio percorso e di ampliare i propri diritti.