Si è concluso la scorsa settimana il primo vertice umanitario mondiale, evento unico della storia delle Nazioni Unite: fortemente voluto dal segretario Ban Ki Moon, al suo ultimo anno di mandato, non è stato esente da polemiche, luci ed ombre. Ma cosa è successo e di cosa si è discusso? GVC era presente, e vi raccontiamo come è andata.

Ogni giorno ci arrivano notizie di disastri ambientali, emergenze, guerre: sofferenza, disagio, vulnerabilità di cui sono vittime sempre i più deboli, afflitti e minacciati da violenze che sembrano non avere mai fine.

Siamo invasi da una pesante sensazione di impotenza e frustrazione, ma che cosa potremmo fare? Il Segretario  Generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, deve essersi chiesto la stessa cosa e nel suo ultimo anno di mandato ha voluto puntare molto in alto, creando qualcosa che non era mai stato fatto prima nella settantennale storia dell’ONU: un incontro mondiale per affrontare globalmente le numerose (e sempre più prolungate nel tempo) emergenze umanitarie. Lo stesso Ban Ki Moon lo spiega così, nel documento di presentazione all’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 2 febbraio 2016*. 

Sono cresciuto in un contesto di guerra. Quando avevo sei anni, sono dovuto scappare dal mio villaggio in Corea, con in mano solo ciò che riuscivo a portare fra le braccia. La casa abbandonata, la scuola distrutta: ero pieno di paura e incertezza su quanto mi sarebbe capitato. Non potevo sapere che un momento così oscuro avrebbe invece inciso profondamente nella mia vita: le giovani Nazioni Unite mi offrirono un riparo, libri di scuola e generi di prima necessità, offrendomi soprattutto speranza e protezione. In quel momento, decisi che mi sarei dedicato al servizio pubblico internazionale. Settant’anni dopo la nascita dell’ONU, credo ancora che la bandiera azzurra sia un simbolo di speranza per tutta l’umanità”.

3 anni di lavoro, 23.000 persone e 153 paesi coinvolti: questi alcuni dei dati della roadmap che ha portato al Summit del 23 e 24 maggio. Incontri, workshop e tantissimo lavoro di networking a livello mondiale da parte di personalità politiche, ONG, associazioni internazionali, Università, esperti e aziende private che hanno prodotto le 300 raccomandazioni che sono state sintetizzate nei 5 focus tematici sui quali si sono concentrati i lavori del vertice. L’incontro di Istanbul ha contato sulla partecipazione di 9000 persone provenienti da 173 stati membri, inclusi 55 capi di stato e di governo e migliaia di rappresentanti della società civile che hanno risposto alla “call to action” lanciata da Ban Ki Moon e che si è concretizzata in 7 tavole rotonde, 15 sessioni speciali, 132 eventi collaterali, e due giornate di sessioni plenarie.

Si è trattata quindi davvero di un’iniziativa globale, di un processo complesso e laborioso  per un obiettivo ambizioso. Per la prima volta infatti è stato lanciato un appello forte e comune al cambiamento, diretto principalmente ai Governi ma anche alle varie istituzioni internazionali (incluse l’ONU con le sue molteplici e non sempre coordinate agenzie e l’Unione Europea), alle ONG e al settore privato. Far sedere idealmente insieme tutti questi attori allo stesso tavolo con lo scopo di adottare politiche e programmi coordinati e condivisi in grado di fronteggiare le tantissime emergenze umanitarie è stato già un risultato importante, così come il consenso su quella che è stata la linea guida di questa traiettoria: “one humanity, a vision for change” sintetizza da un lato la necessità di considerare l’emergenza come un problema che riguarda tutta l’umanità, quindi nessuno, persona individuale o istituzione che sia, può considerarsi non coinvolto; dall’altro, che l’idea di cambiamento deve essere unica e comune a tutti gli attori coinvolti.

Ma di cosa si è discusso durante la due giorni di forum? Vediamo nel dettaglio le richieste che sono state presentate e discusse durante il summit:

  • Prevenire e ridurre i conflitti prevedendo un maggiore investimento in termini finanziari e di risorse umane preposte a questo scopo e una maggiore attenzione a ridurre la vulnerabilità delle popolazioni, con una gestione più efficace del rischio di catastrofi, focalizzandosi sulle cause all’origine dei conflitti e dei disastri.
  • Adottare nuovi approcci che prevedano un sistema di risposta a crisi protratte e calamità ricorrenti, e promuovere il coordinamento e l’unità di azione delle organizzazioni che lavorano nel settore dello sviluppo e dell’emergenza.
  • Assicurare finanziamenti adeguati e duraturi per poter salvare vite umane ed alleviare sofferenze aumentando l’efficacia dei meccanismi di finanziamento umanitario.
  • Rafforzare la centralità del principio della tutela delle attività umanitarie e garantire il rispetto delle leggi umanitarie internazionali, attraverso misure concrete che vanno dalla formazione delle forze armate (statali e parastatali), ad una maggiore protezione delle donne e delle ragazze dalle violenze sessuali, ad una migliore capacità di monitorare e informare sulle violazioni.
  • Affrontare le nuove sfide, attraverso azioni locali, inclusive e adeguate ai contesti specifici.
  • Chiamare all’azione una leadership politica forte che sia in grado di prevenire e porre fine ai conflitti, proteggendo le popolazioni civili e riducendo indirettamente i flussi migratori forzati, garantendo dignità e diritti a rifugiati e sfollati, dando supporto ai paesi e alle comunità ospitanti. L’azione umanitaria necessita di una soluzione politica, un impegno globale che non lasci davvero nessuno indietro.

Un programma molto ambizioso, dicevamo, ma l’impressione generale di GVC è che si sia raggiunto il consenso (non scontato) su una serie di buone intenzioni. Ora ci auspichiamo che gli impegni presi si traducano in azioni concrete, che possano essere monitorate e soprattutto diventare vincolanti. Sicuramente questo summit costituisce il punto di partenza di un processo, che non sarà né breve né semplice: un passo però fondamentale verso uno sforzo più concreto nell’affrontare a livello globale e in modo coordinato le emergenze umanitarie.

In questa direzione, sono state sancite ed avviate nel corso del vertice alcune importanti iniziative, per le quali ci sono stati già impegni finanziari presi dai vari governi:

Education cannot wait: partendo dalla constatazione drammatica che attualmente ci sono 75 milioni di bambini in 35 paesi che non vanno a scuola, e che all’oggi meno del 2% dei finanziamenti per l’aiuto umanitario è diretto all’educazione in contesti di emergenza, sono stati stanziati 100 milioni di dollari da parte del fondo “Global Business Coalition for Education”. L’iniziativa sarà coordinata da Unicef.

Per far fronte alle catastrofi ambientali legate al cambiamento climatico, si è partiti da un semplice calcolo: per ogni dollaro speso in piani di prevenzione, si risparmiano 4 dollari per la risposta alle emergenze ambientali. Quindi, investire maggiormente in programmi di interventi cautelativi e formazione delle comunità locali per incrementarne la capacità di resilienza in caso di calamità naturali, risulta essere non solo più efficace, ma anche più conveniente dal punto di vista economico. La Connecting Business Initiative lanciata durante il Summit e guidata da UNISDR (United Nations Office for Disaster Risk Reduction) risponde all’esigenza di un coinvolgimento maggiore delle aziende private prima, durante e dopo le emergenze. Verranno coinvolti 11 network del settore privato a cui fanno capo centinaia di compagnie internazionali. Una delle attività consisterà nel sostegno alle aziende locali per sfruttare network già esistenti nella creazione di piattaforme in cui la singola impresa potrà contribuire con la propria expertise (logistica, tecnologica, infrastrutturale) incrementando così l’efficacia degli interventi*.

C’è stato un riconoscimento maggiore agli attori locali che lavorano sul campo e sono in grado di dare una risposta immediata alle calamità e alle crisi. Si calcola che nel 2014 solo lo 0,3% dei fondi per l’assistenza umanitaria è andata ad organizzazioni nazionali e locali. Durante il Summit è stato preso l’impegno da parte di numerose agenzie delle Nazioni Unite, donatori e rappresentanti della società civile di raggiungere il 25% entro il 2020.  Anche in questo caso si è trattato di un cambio di paradigma sancito dal vertice: rafforzare i sistemi nazionali presenti e non rimpiazzarli o duplicarli con meccanismi paralleli inefficienti e costosi.

E’ stata lanciata una Carta Umanitaria (humanitarian charter), ratificata da tutti i partecipanti per promuovere la partecipazione delle persone con disabilità nella formulazione di politiche umanitarie affinché ci sia una presenza più equa e rappresentativa nel processo decisionale, a livello di servizi più inclusivi, non discriminanti, all’insegna della cooperazione e del coordinamento.

E’ stato riconosciuto il ruolo cruciale dei gruppi più vulnerabili come le donne e i giovani. Le donne in particolare sono le prime a reagire attivamente alle situazioni di crisi: l’impegno è quindi di promuovere una loro maggiore presenza nella formulazione di politiche umanitarie in un modo più equo, che le renda protagoniste nel processo decisionale.

Sono stati inaugurati due modelli di finanziamento sociale islamicoAwqaf endowment fund (fondo di dotazione) e Sokuk, obbligazioni sociali, con cui i paesi islamici supporteranno le azioni umanitarie. E' però necessario che questi strumenti siano pienamente inseriti nel sistema internazionale dell’aiuto umanitario per coprire i gap finanziari e raggiungere le persone ancora in situazione di bisogno.

E’ stato siglato un accordo (Grand Bargain) tra i principali donatori, le agenzie delle Nazioni Unite e le Organizzazioni non Governative rappresentate dai network globali per migliorare l’efficacia dei meccanismi di finanziamento dell’aiuto umanitario. E’ stato riconosciuto il bisogno un cambiamento nel meccanismo di finanziamento che preveda non solo un unico meccanismo centralizzato, ma anche un sistema che si adatti a tutti gli approcci attraverso un ecosistema di diversi attori con risposte contestualizzate alle crisi. I donatori coinvolti si sono impegnati in una maggiore trasparenza nel trasferimento dei fondi e nell’utilizzo degli stessi; un migliore utilizzo del sistema di assistenza attraverso programmi di trasferimento di cash; l’adozione di regole meno stringenti dal punto di vista finanziario da parte dei donatori ed infine uno sforzo volto a semplificare e armonizzare le procedure di reportistica, rendicontazione e accesso ai fondi, come auspicato dall’iniziativa promossa dalle ONG riunite in ICVA (International Council of Voluntary Agencies) #lesspapermoreaid.org, coordinata da Cecilia Roselli, membro del Consiglio Direttivo di GVC.

Altre due iniziative rilevanti hanno preso vita durante il Summit: la Global Preparedness Partnership, nata da un accordo fra ministri delle finanze, Nazioni Unite e Banca Mondiale per dotare un gruppo iniziale di 20 paesi scelti fra i più vulnerabili di strumenti adeguati alla riduzione del rischio, con l’obiettivo di raggiungere un livello minimo di miglioramento da raggiungere entro il 2020. La seconda iniziativa, One Billion Coalition for Resilience, è invece rivolta a rafforzare globalmente la sicurezza, la salute e il benessere delle popolazioni vulnerabili, con l’obiettivo di mobilitare 1 miliardo di persone a sostegno di queste comunità nei prossimi dieci anni.

In sintesi, il vertice è stato davvero “mondiale”, data la quantità e la qualità delle iniziative promosse e dei temi discussi. Come ONG che lavora in contesti di emergenza da molti anni, GVC sottoscrive in pieno la richiesta di una leadership politica in grado di mediare, proporre soluzioni pacifiche, prevenire i conflitti e cooperare in modo collaborativo a livello regionale ed internazionale.

È necessario un nuovo approccio nella protezione dei rifugiati che soddisfi i bisogni immediati e che sostenga la resilienza e l’autosufficienza delle popolazioni colpite dalla crisi. In questa direzione, affrontare le cause strutturali del conflitto e ridurre le vulnerabilità investendo nello sviluppo di società inclusive promuovendo una cultura della pace è urgente e fondamentale. I Governi devono impegnarsi a mettere in atto azioni preventive anticipando le crisi potenziali e facendo in modo che non sfocino in conflitti, attraverso la raccolta e la condivisione di informazioni in modo preventivo. Garantendo allo stesso tempo un quadro legislativo internazionale condiviso che permetta l’accesso ai diritti civili e legali (accesso all’educazione, alla sanità, al lavoro) dei richiedenti asilo alla pari con quelli delle comunità ospitanti, che devono a loro volta essere supportate. Il diritto d’asilo, l’accesso ai servizi basici per una vita degna e il principio di non respingimento devono essere garantiti.

Chiediamo inoltre anche che venga rispettato, sempre e in qualunque situazione, il diritto umanitario: sempre più operatori sono soggetti ad attacchi, diretti e indiretti, e questo mina la nostra capacità di dare assistenza alle popolazioni colpite. Riaffermiamo il rispetto dei principi umanitari di neutralità, imparzialità, umanità e indipendenza.

Come colophon dei lavori e di tutte le iniziative discusse e promosso al World Humanitarian Forum, a settembre l’ONU pubblicherà un rapporto conclusivo ufficiale che verrà presentato agli stati membri alla 71a Assemblea Generale a New York. Il rapporto includerà anche proposte pratiche per un’implementazione efficace dell’agenda umanitaria e i meccanismo di monitoraggio dei progressi nell’arco del tempo.

GVC lo aspetta con fiducia, e nel frattempo continuerà a lavorare in questa direzione, per non lasciare indietro nessuno #LeaveNoOneBehind.


*United Nations General Assembly, Distr. General 2 February 2016, Seventieth Session: “One humanity. Share responsibility”.

**Le attività della CBI avranno un ruolo cruciale per il raggiungimento degli impegni presi dall’Agenda 202 per lo Sviluppo Sostenibile, il Sendai Framework  per la riduzione dei rischi di disastri, l’agenda di Addis Abeba e l’accordo unanime raggiunto a Parigi (COP 21) contro il cambiamento climatico.