VIOLENZA SULLE DONNE: ARRIVANO LE LINEE GUIDA.

 

Dopo un lungo lavoro di consultazione sono state definite in Conferenza Unificata Stato Regioni Autonomie locali e pubblicate  le Linee guida di indirizzo e orientamento per le Aziende sanitarie e ospedaliere in tema di soccorso e assistenza socio-sanitaria alle donne vittime di violenza e alle/ai loro eventuali figlie/i vittime di violenza assistita. Giunge così a compimento un processo di elaborazione che, sotto la regia del Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio (DPO), ha coinvolto decine di attori governativi, delle aziende sanitarie ed ospedaliere, del terzo settore, degli enti territoriali.

Obiettivo delle Linee guida nazionali è fornire un intervento adeguato e integrato nel trattamento delle conseguenze fisiche e psicologiche che la violenza maschile produce sulla salute della donna e delle/degli eventuali figlie/i vittime di violenza assistita. Destinatarie le donne, italiane e straniere, che abbiano subìto una qualsiasi forma di violenza e che accedono ad un qualsiasi Pronto soccorso. Le Linee guida nazionali si rivolgono alle operatrici e agli operatori sanitari e a tutti gli attori pubblici e privati che a vario titolo entrano in contatto con la tematica della violenza contro le donne: servizi sociali territoriali, centri antiviolenza e case rifugio, Forze dell’ordine e Forze di Polizia locali,  Ministero della Giustizia, Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario e il Tribunale per i minorenni, Tribunale (civile-penale), Enti territoriali (Regioni – Province - Città metropolitane - Comuni). Ogni attore della rete antiviolenza territoriale è invitato infatti ad agire secondo le proprie competenze, ma con un approccio condiviso e integrato ad esclusivo vantaggio della donna, garantendone l'autodeterminazione nelle scelte da intraprendere. Gli attori della rete dovranno stipulare protocolli d’intesa territoriali specifici e strutturati che individuino interventi comuni e condivisi per tutte le fasi del percorso.  Il personale infermieristico addetto al triage, con un’adeguata formazione professionale, sarà così in grado di procedere al tempestivo riconoscimento di ogni segnale di violenza, anche quando non dichiarata. Alla donna dovrà essere riconosciuta una codifica di urgenza relativa – codice giallo o equivalente - così da garantire una visita medica tempestiva. Infine l’operatrice/ore sanitaria/o avrà sempre l’obbligo di informare la donna della possibilità di rivolgersi ai centri antiviolenza presenti sul territorio, ai servizi pubblici e privati della rete locale. È  stata fatta anche chiarezza in tema di modulistica, refertazione e conservazione delle prove, aspetti sui quali esistono per ora protocolli diversi, che non facilitano la raccolta dei dati e la condivisione delle informazioni.

Noi di WeWorld Onlus abbiamo contribuito al percorso di elaborazione delle Linee guida valorizzando la nostra esperienza, nell’ambito del programma SOStegno donna sperimentato in vari ospedali italiani. Non si può che essere soddisfatti del risultato raggiunto e ringraziare il DPO, perché ha saputo riassumere esperienze diverse, provenienti da varie Aziende sanitarie e ospedaliere.

Rimane qualche riserva sull’aver accantonato, nella versione definitiva, l’invito a seguire l’approccio di genere, almeno nel primo colloquio con le donne vittime di violenza maschile. Infatti, nessuno dubita che tutto il personale infermieristico e sanitario debba formarsi nella implementazione delle Linee guida. Tuttavia, per la specificità della violenza di genere, sarebbe stato preferibile sottolineare l’importanza che il primo colloquio con la donna che accede al pronto soccorso venga sostenuto da una operatrice, con alle spalle una formazione specifica sull’approccio a donne che hanno esperito situazioni di maltrattamento e/o violenza. La stessa Convenzione di Istanbul, adottata dall’Italia nel 2013 e diverse esperienze ospedaliere (tra cui quella di WeWorld con Be Free ed altri attori ospedalieri), indicano infatti nell’approccio di genere la via preferibile per superare le paure di una donna che a fatica trova il coraggio di chiedere aiuto. La violenza maschile infatti non è quasi mai il frutto di un raptus momentaneo di un uomo, ma il più delle volte, una forma di esercizio di potere che dura da tempo, al quale spesso la donna non riesce a sottrarsi, per paura di non essere compresa, perdere il sostegno economico o per timore di conseguenze sui figli.

Quindi, per ogni donna vittima di violenza maschile, ascoltare fin dal Pronto Soccorso la voce di un’altra donna, un’operatrice ospedaliera o della rete antiviolenza, potrebbe fare la differenza nel favorire l’avvio di un percorso di fuoriuscita da ogni forma di sopraffazione.