A fine ottobre si è svolta a Bruxelles la conferenza conclusiva di “Citizens Without Borders*”, progetto finanziato dalla Commissione Europea e realizzato da GVC e altri 5 partner europei con lo scopo di aumentare la consapevolezza e di informare i cittadini europei sulle regole dell’Unione Europea in merito a libertà di movimento e diritti di soggiorno previsti dalla direttiva 2004/38/EC.

I partner del progetto hanno lavorato insieme per sensibilizzare e migliorare le conoscenze dei cittadini Europei e degli operatori legali e burocratici sulle norme comunitarie in materia di libera circolazione e diritti di soggiorno, e per migliorare l'attuazione di tali diritti per i cittadini UE ed i loro familiari, con particolare attenzione ad alcuni aspetti critici delle singole applicazioni nazionali dei diritti dei cittadini UE non residenti nel loro paese d'origine.

Neva Cocchi, Melting Pot Europa e moderatrice dell’evento, ha evidenziato che la libera circolazione e i diritti di soggiorno non facciano parte dell’insieme dei diritti acquisiti e stabilizzati, e che il concetto di “cittadinanza europea è un prodotto di diverse variabili, definibile come una cittadinanza a strati, dove lo status dei migliaia e migliaia di cittadini dell’Unione Europea che si muovono ogni giorno da uno stato membro ad un altro è sempre più precario”.

La conferenza ha rappresentato un’ottima occasione per fare un bilancio dei risultati ottenuti e delle problematiche che persistono all’interno dell’Unione Europea: “la collaborazione tra le sei organizzazioni della società civile Europea che hanno partecipato al progetto ha permesso di identificare le differenze di applicazione della legislazione in vigore e aumentare la consapevolezza dei cittadini europei sui loro diritti di libera circolazione e di soggiorno”, ha dichiarato Damiano Duchemin, GVC Italia.

Anna Sibley, FASTI Francia, ha raccontato che una parte consistente delle attività del progetto si è concentrata su uno studio comparato dell’applicazione della direttiva nei paesi dei partner, ossia Italia, Francia, Repubblica Ceca, Romania e Spagna. Le ricerche evidenziano come le “difficoltà principali riguardano le conseguenze del recepimento della direttiva in materia di permessi di entrata, diritti di soggiorno, protezione contro le espulsioni e accesso ai sistemi sanitari nazionali”, continua Anna Sibley. Grande attenzione è stata inoltre data alla situazione delle categorie più vulnerabili, come i familiari, le unioni non registrate, i matrimoni tra persone dello stesso sesso e i gruppi di minoranze.

In parallelo sono state organizzate attività per la formazione dello staff delle autorità locali, avvocati e assistenti sociali, una campagna di comunicazione oltre a dibattiti pubblici, conferenze e meeting indirizzati sia al pubblico che alle autorità per aumentare la consapevolezza sui diritti e lo status di cittadini europei. È inoltre stata creata una rete di Infodesk per informare i cittadini europei riguardo i loro diritti.

Alessandra Lang, Professore Associato di Diritto Europeo dell'Università di Milano, ha evidenziato come il problema non riguardi tanto la Direttiva o la sua trasposizione, quanto piuttosto la sua applicazione a livello amministrativo, aspetto che rende meno evidenti i casi di violazione dei diritti dei cittadini europei, poiché le legge sono di per sé in linea con gli standard dell'Unione.

La direttiva si preoccupa inoltre di bilanciare i diritti dei cittadini con gli interessi degli stati. "Alcuni Stati Membri si lamentano della persistenza di pratiche quali i matrimoni di convenienza o il cosiddetto walfare tourism - ossia la migrazione da uno stato membro dell'Unione ad un altro, non per lavorare ma per usufruire dei benefici offerti dallo stato sociale del paese in cui emigrano" ha continuato Alessandra Lang. La direttiva prevede infatti una disposizione in caso di abusi che consente il ritiro o il rifuito di erogare i benefici a coloro i quali li richiedono in circostanze di matrimonio di convenienza.

Jan Juranek, della Soze Association in Repubblica Ceca, ha riportato i dati emersi dagli studi effettuati nell’ambito del progetto sull’applicazione della direttiva 2004/38/CE: “forti criticità si registrano nella definizione di chi siano i familiari dei cittadini UE e nelle procedure per il rilascio del visto ai familiari. In Repubblica Ceca vengono rifiutati i visti a quei membri di famiglie UE che vengono da paesi “noti” per la pratica dei matrimoni di convenienza e non viene data loro una motivazione specifica per tale rifiuto”.

Jan Juranek ha sottolineato che gli altri temi particolarmente delicati sono l’accesso alle cure sanitarie, per cui gli immigrati in cerca di lavoro in alcuni stati membri, come la Spagna, non possono beneficiare dei servizi statali; oppure i diritti di soggiorno, poiché in alcuni stati, tra cui la Francia, oltre alla registrazione dell’indirizzo per i cittadini europei che rimangono in un altro stato membro per tre mesi occorrono requisiti quali il contratto di locazione firmato dal proprietario o da un garante, non sempre facile da ottenere. In Romania e in Italia i partner dello stesso sesso non vengono riconosciuti come membri della famiglia e in Spagna le procedure burocratiche per il riconoscimento dei matrimoni sono molto lunghe.

Claude Charles, della GISTI Association, Francia, è convinto che i risultati delle analisi condotte nell’ambito del progetto abbiamo dimostrato che “in tutti i cinque paesi analizzati, la Direttiva non è stata sufficientemente applicata” e le conquiste ottenute con l’estensione della libertà di movimento non solo ai lavoratori ma a tutti i cittadini europei sono ora messe in discussione, attraverso l’uso di concetti come “minaccia all’ordine pubblico”, “welfare tourism” o “abuso di diritti”.

Nel 2007, solo due milioni di cittadini esercitavano la libertà di movimento. Ora, sono circa sette milioni. Secondo un recente studio della Commissione, la maggior parte di coloro che si spostano sono persone che hanno un lavoro e il loro tasso d’impiego è maggiore rispetto a coloro che sono cittadini di paesi terzi e il ricorso allo stato previdenziale è assai basso, pari all’1%. Nel 2014, tuttavia, ben 6.000 cittadini dell’Unione Europea sono stati espulsi poiché “gravavano eccessivamente sullo stato”, avendo contratti parzialmente finanziati dallo stato.

Paola Cammilli, La Comune, Belgio, ha riportato la storia di un’artista italiana emigrata in Belgio che ha beneficiato di un contratto parzialmente finanziato dallo stato per il reinserimento del mercato del lavoro, ma che ha successivamente ricevuto l’ordine di espulsione motivato dal fatto che lei venisse considerata un “peso” eccessivo per lo stato e che suo figlio, nato e cresciuto in Belgio, non si fosse integrato nella società belga.

 

 

*Il progetto “Citizens Without Borders”, della durata di 24 mesi, è stato realizzato da GVC e Teleradio City (Italia), FASTI - Federation des Associations de Solidarité avec les Travailleur/euse–s Immigre/e/s (Francia), ACC - Asociaciòn Consorcio de Cooperaciòn (Spagna), Apel (Romania) e SOZE - Society of Citizens Assisting Emigrants (Repubblica Ceca) e ha raggiunto 400.500 beneficiari grazie alle numerose iniziative di informazione e sensibilizzazione.

 

Per maggiori informazioni la scheda progetto sul nostro sito.

Qui un approfondimento sulla conferenza tenutasi dal 26 al 28 ottobre a Bruxelles.