Hourm ha 35 anni e vive nel villaggio di Kambou, provincia di Siem Reap, nel nordovest della Cambogia.

Hourm emigró in Tailandia nel 2014, lasciando a casa i suoi due bambini. “Avevo bisogno di soldi per costruire la mia casa: ero consapevole dei rischi che correvo emigrando senza documenti, ma non avevo altra scelta”.

Hourm ha contattato una persona che poteva aiutarla ad arrivare in Tailandia ed insieme si sono recati di notte, con altre nove persone, presso il confine - in un posto isolato, nel cuore della foresta. Dopo aver camminato per un’ora e mezza hanno raggiunto l’automobile che li aspettava in Tailandia, dall’altra parte del confine, e sono andati direttamente sul posto di lavoro, un cantiere a Bangkok.

Sono stata presa a lavorare come saldatrice, avevo una corda legata ai fianchi e dovevo rimanere appesa alle colonne di un edificio in costruzione alto 56 piani. Ero contenta di aver trovato quel lavoro, non avevo troppa paura del vuoto! Potevo guadagnare 86 dollari lavando 7 ore al giorno. Dopo quattro mesi peró, la polizia militare tailandese è arrivata nel cantiere in cerca di migranti irregolari. Io non sono potuta scappare perché ero legata alla corda in cima all’edificio, per cui mi hanno presa ed ammanettata, insieme ad altri 118 cambogiani”.

Dopo l’arresto Hourm, che non aveva i documenti necessari per lavorare regolarmente in Tailandia, è rimasta in un centro di detenzione per 36 giorni prima di essere stata rimpatriata - senza che il suo caso fosse mai discusso.

“Ero molto spaventata e triste: nella mia cella eravamo 20, tutte ragazze cambogiane e tailandesi, senza letti o cuscini, ci hanno dato solo una coperta a testa. Il cibo era molto poco, e continuavo a sentire persone piangere. Vorrei ritornare in Tailandia a lavorare, ma prima di farlo voglio avere tutti i documenti necessari per migrare regolarmente”.

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Hate ha 20 anni e vive nel villaggio di Kambou, provincia di Siem Reap, nel nordovest della Cambogia.

“Avevo ai piedi solo un paio di infradito ed è stato davvero difficile camminare nella foresta ed attraversare il fiume, avevo solo 18 anni ed ero molto spaventata. Quando siamo arrivati in Tailandia, io e le altre 9 persone con cui ho attraversato il confine siamo entrati tutti in una macchina, seduti uno sull’altro, e ci hanno coperti con un sacco di cose per nasconderci. Il viaggio è stato molto lungo, circa 5 ore, non potevamo fermarci da nessuna parte. Alcune persone hanno vomitato e non sono riuscite a tenere la pipí. Siamo arrivati a Bangkok nel cuore della notte”.

Questo gruppo di cambogiani è stato preso a lavorare, come molti altri migranti, in cantiere – dove le condizioni di lavoro sono estremamente pesanti. Hate doveva trasportare secchi di cemento da dieci chili l’uno per 8 dollari al giorno, ma era contenta di poter guadagnare ed avere un lavoro. “Non ho mai visto un incidente nel cantiere, e il datore di lavoro ci permetteva di dormire in stanze di 3 metri quadrati, due o tre persone per stanza”.

Nonostante questo, anche nel caso di Hate, dopo 5 mesi la polizia militare tailandese ha fatto irruzione nel cantiere ed ha arrestato i lavoratori irregolari, portandoli al centro di detenzione. “Quando la polizia è arrivata sono corsa fuori dal cantiere e mi sono buttata nel fiume. Ho cominciato a nuotare, ma i poliziotti erano piú veloci di me. Sono rimasta nel centro di detenzione 48 giorni, mangiando veramente poco, giusto il necessario per non morire di fame”.

Entrambe queste donne sono vittime del traffico di esseri umani che si perpetua ogni giorno tra Cambogia e Tailandia. Avendo difficoltà ad ottenere i documenti per entrare in Tailandia attraverso la frontiera ufficiale, hanno entrambe cercato un modo alternativo, pagando un trafficante che ha organizzato il loro traffico passando per passaggi informali nella foresta. La Cambogia non ha ancora approvato una legge contro il traffico di esseri umani; esiste solo una bozza del Ministero della Giustizia. Attualmente, i cambogiani che passano il confine senza passaporto o documenti legali non commettono alcun crimine nei confronti della legge Cambogiana, cosi come il trafficante che facilita il loro passaggio.

Grazie al proetto MIGRA-SAFE, GVC lavora in collaborazione con le autorità locali e le famiglie di migranti per diffondere informazioni sui processi di migrazione sicura, creare reti di solidarietà e supporto per i migranti e i loro cari che rimangono in Cambogia per badare ai figli dei migranti, occuparsi dei lavori di casa e della raccolta del riso, e gestire le rimesse che arrivano dalla Tailandia.