Sembrava che il 3 ottobre del 2013 a Lampedusa si fosse arrivati al peggio, con le 360 vittime annegate in mare. Purtroppo non è stato così, e ci ritroviamo oggi a registrare l’ennesimo e tragico record: fra 700 e 900 morti le vittime del barcone affondato nel canale di Sicilia domenica 19 aprile. La cifra è spaventosamente alta, la più alta mai registrata, tanto da far venire i brividi.

I numeri dell’emergenza: 1600 morti in mare da inizio 2015

Non vogliamo commentare né gettare altra legna al fuoco per le polemiche a cui i mass e social media hanno dato già troppo spazio, e che poco contribuiscono sia all’analisi che alla soluzione di quello che è ormai un problema gravissimo, la gestione dei flussi migratori in Europa e in particolare gli sbarchi nel Mediterraneo. Senza dubbio, ormai possiamo parlare di strage, definita da alcuni “genocidio” (Emma Bonino, Il Messaggero, 20/04/2015), e sicuramente di emergenza umanitaria: dall’inizio del 2015, più di 36.000 rifugiati sono arrivati per mare nel sud dell’Europa, e più di 1.600 sono morti (fonte: UNHCR, agenzia dell’ONU per i rifugiati). Una cifra enorme, soprattutto se pensiamo che ad aprile nel 2014, lo scorso anno, il numero dei rifugiati era simile (23.500) ma i morti “solo” 50.

Non ci sono “invasioni”: i flussi migratori verso l’Europa e l’Italia sono rimasti invariati

Sempre per fare chiarezza, e un’informazione reale sullo spauracchio dell’ "ondata di immigrati e disperati" che stanno invadendo le nostre coste, continuiamo con un po’ di dati. Gli sbarchi in Italia, all’oggi, non sono aumentati rispetto al 2014 (Carlotta Sami, portavoce UNHCR). Dai dati di Frontex (l’Agenzia europea per la gestione delle frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europea) nel 2014 sono arrivati in Europa 280.000 rifugiati, su una popolazione europea di 507 milioni di persone, con un’incidenza pari allo 0,05%. E le cifre del 2015, come abbiamo già affermato sopra, stanno rimanendo dello stesso ordine. E’ quindi falso affermare che il flusso sia da anni insostenibile, in continuo aumento o che si tratti di invasione, perché si tratta di strumentalizzazioni politiche. In generale, poi, uomini e donne in fuga da guerre, terrorismo o disastri ambientali/climatici (perché, lo ricordiamo, sono COSTRETTI ad imbarcarsi, perché pagando una fortuna e con l’alto rischio di morte che comporta questi uomini e queste donne NON sono affatto contenti di lasciare i loro paesi) sono circa 51 milioni, ma solo una minima parte si muove verso l’Europa. Nel 2014, sono arrivate 200.000 persone nell’UE di cui 170.000 sono passate per l’Italia, ma si sono fermate nel nostro paese per pochi giorni. In Italia abbiamo di media 1 rifugiato ogni 1.000 abitanti, e dire che non possiamo accoglierli sembra davvero una forzatura se pensiamo che nel vicino Libano il numero ufficiale di rifugiati (e richiedenti status di rifugiati) è di quasi 1,2 milioni unità su una popolazione che non raggiunge i 4,5 milioni, pari a 268 rifugiati ogni 1.000 abitanti.  Inoltre, i flussi migratori non sono una prerogativa europea, ma riguardano anche molti altri continenti,  come per esempio avviene nel Sud Est Asiatico (per un approfondimento si rimanda al nostro progetto Migra-Safe). In generale i flussi in Asia hanno raggiunto quelli in Europa e sono destinati ampiamente a superarli.

Ma perché tante tragedie in mare? Ecco cosa è cambiato da Mare Nostrum a Triton

Triton è un programma dell'Unione europea messo in piedi per cercare di controllare gli arrivi di profughi dal Mediterraneo. Il programma, gestito attraverso Frontex, a partire dal novembre scorso ha sostituito Mare Nostrum nel controllo dei flussi di migranti, che il governo italiano aveva allestito nel 2013 a seguito della tragedia di Lampedusa e rimasto in vigore per tutto il 2014. La differenza è che Triton, come denunciato più volte, non è assolutamente un sostituto del programma italiano, perché Mare Nostrum aveva due obiettivi: “garantire la salvaguardia della vita in mare” e “assicurare alla giustizia coloro che lucrano sul traffico illegale di migranti”. Il suo raggio di azione era fino alle 60 miglia dalle coste.

La funzione principale di Triton invece è di controllo delle frontiere, con un’azione di soccorso molto blanda esercitata solo fino a 30 miglia dalla costa e senza prevedere operazioni di riscatto effettuate da mezzi e personale specializzati. L’investimento economico inoltre è molto più basso con un budget mensile di 2,9 milioni di euro a fronte dei 9,5 stanziati mensilmente da Mare Nostrum. Insomma, con l’operazione Triton non ci sono né fondi né strumenti. E il risultato sono i naufragi e i morti, mentre trafficanti mafiosi e senza scrupoli continuano ad arricchirsi sulla disperazione altrui. L’Unione Europea in un quadro in cui si vuole caratterizzare per la difesa dei diritti umani, da un lato lancia proclami di accoglienza e assistenza, teorici, e dall’altro non fa nulla, anzi gestisce confusamente la circolazione delle persone all’interno del proprio territorio, con l’esasperazione degli stati membri, specie quelli del Mediterraneo, e la sofferenza gratuita di chi già è costretto ad abbandonare situazioni terribili nel proprio paese, per ritrovarsi a vivere un altro incubo in terra straniera. Trattamento inumano, violazione dei diritti e spreco di risorse. Nessun risultato concreto.

Le soluzioni: programmi di gestione dei flussi migratori e azione alla fonte

Nessuno si salva da solo. Specialmente in un mondo globalizzato. E soprattutto se i pericoli sono guerre, persecuzioni religiose, fame, catastrofi ambientali che distruggono case, terre e vite. Se nei prossimi mesi dobbiamo aspettarci un aumento di nuovi profughi, è perché le emergenze sono in aumento: Siria, Palestina, Somalia, Nigeria, solo per ricordarne alcune. La Libia, da cui proveniva il barcone affondato il 19 aprile, è solo l’ultimo paese di transito per persone che fuggono dai propri paesi per salvare la loro vita e quella delle loro famiglie. Anche l’intervento umanitario è difficile in queste condizioni, come ricorda Nino Sergi di Link7000, la coalizione di ONG italiane di cui GVC fa parte, e la lotta ai trafficanti è persa in partenza. Tagliare, come è stato fatto negli ultimi anni, gli aiuti alle ONG e ridurre i fondi per l’intervento nelle aree calde del pianeta, è una strategia miope di risparmio immediato che però comporta costi alti, umani ma anche finanziari, e scarsi risultati, sul lungo periodo. E quindi? Si deve continuare a lavorare nei paesi in difficoltà per permettere alle persone una vita degna, e creare loro le condizioni di sostenibilità nel proprio territorio perché, come per ognuno di noi, la decisione di emigrare o di spostarsi sia una libera scelta. Allo stesso modo i paesi a maggiore sviluppo devono avere il coraggio e la coerenza di non praticare politiche economiche, finanziarie, commerciali ed ambientali che danneggiano i paesi più fragili. Infine, nell’immediato, è doveroso evitare che si verifichino le tragedie, soccorrendo le persone, assicurando condizioni di trasporto degne e una assistenza minima, prima di ritrovarci migliaia di cadaveri in fondo al mare. Magari anche allestendo dei presidi di assistenza nei campi profughi dei paesi più a rischio per evitare scelte estreme e le infiltrazioni dei trafficanti. 

Cosa può fare l’Unione Europea

L’appello all’azione rivolto all’Unione Europea non è di questi giorni. Molte organizzazioni e istituzioni hanno già richiesto più volte un intervento in questo senso. Sono stati già prodotti studi, documenti, mozioni come quelli proposti dalla piattaforma ConcordEurope, la federazione di ONG europee per lo sviluppo (per esempio “For a New Narrative on the Future of the Mediterranean: A Perspective from Southern Europe) di cui il GVC fa parte.

L’UE deve rispondere concretamente e senza ulteriori tentennamenti alle richieste urgenti per scongiurare ulteriori tragedie umane: l’apertura di corridoi umanitari per i rifugiati e lo stanziamento di fondi da parte di tutti gli stati europei per ripristinare un programma simile a Mare Nostrum. L’Alto Rappresentante per la politica estera europea, l’italiana Federica Mogherini, ha già classificato come “inaccettabile” l’ennesima tragedia e chiamato alla corresponsabilità tutti e 28 gli stati UE per un intervento congiunto ed efficace. I piani di accoglienza devono essere gestiti a livello europeo, sia per il soccorso in mare sia per l’accompagnamento in altri paesi di destinazione, favorendo permessi speciali e condizioni di vita degne. Infine, occorre ripensare una politica di cooperazione e sviluppo adeguata, sostenibile e democratica proprio nell’area mediterranea. L’Italia deve rinnovare e rafforzare il suo impegno in questa direzione, garantire un’efficace azione diplomatica per dotare la nuova Agenzia per lo sviluppo di fondi adeguati per la promozione dello sviluppo nei paesi di origine, garantire politiche coerenti con gli obiettivi di lotta alla povertà e rispetto dei diritti umani. Da sola non può farcela. Il nostro paese è chiamato però - a cominciare dai suoi rappresentanti istituzionali - a giocare un ruolo di primo piano per esercitare una maggiore pressione politica verso le istituzioni europee. Abbiamo sostenuto ed apprezzato la capacità di far riportare all’ordine del giorno dell’Agenda Europea il tema delle migrazioni e sviluppo che l’Italia ha avuto durante il semestre di presidenza europea. Ora, alle intenzioni devono seguire azioni concrete e piani operativi tempestivi. Non è il tempo di esitare, troppe vite umane sono a rischio.   

Il nostro pensiero più sentito va ai tanti uomini donne e bambini morti e alle loro famiglie: stiamo parlando di essere umani, non dimentichiamolo.