La guerra in Siria si può riassumere con un elenco di numeri drammatici: 11 milioni tra rifugiati e sfollati interni, per un Paese che prima della guerra ospitava circa 300mila rifugiati iracheni; 4.7 milioni di persone che hanno chiesto asilo all’estero; 6 milioni di bambini in situazione di grave vulnerabilità, di cui molti non vanno a scuola da 5 anni.
Ancora: il 40% dei siriani non ha accesso all’acqua potabile, ed è ormai incalcolabile il numero di scuole e ospedali che vengono sistematicamente distrutti dagli attacchi aerei delle varie parti in conflitto.

Oggi la guerra in Siria “compie” 5 anni e non c’è ancora una speranza concreta che finisca. Proprio oggi Dina Taddia, presidente di GVC (tra le poche ONG ancora presenti nel Paese), ci ricorda che questa crisi interminabile non è fatta solo di cifre: “Dietro ai numeri, alle impronte digitali, all’organizzazione dei centri di identificazione, ai barconi e ai treni che spostano folti gruppi di persone ogni giorno da una frontiera all’altra del Mediterraneo ci sono gli uomini, le donne, i bambini. Storie di persone che hanno perso una prospettiva di esistenza e spesso un’identità, storie di donne che vanno incontro a stupri e violenze perché non hanno alternative, storie di bambini che viaggiano soli perché hanno perso tutti e storie di famiglie intere che risparmiano per permettere al più giovane, il più istruito, di poter sperare altrove di svilupparsi come uomo, con le sue potenzialità, i suoi sogni. Allora la domanda rimane: come possiamo fare in Europa, qui in Italia, nelle nostre comunità a riconoscere e proteggere l’umanità dietro al numero?”.

Questa è la testimonianza di Abir, una ragazzina siriana di 14 anni che sognava di diventare un’insegnante. Da 2 anni vive in un campo rifugiati nella Valle della Bekaa, in Libano, e deve lavorare per aiutare la sua famiglia.
La sua storia è una delle tante raccontate nel documentario Syrian Edge, parte della campagna #4Syria, a sostegno dei rifugiati siriani in Libano e della popolazione locale.

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