Condanniamo fermamente la strage di Parigi di venerdì che ci ha sconvolto a poche ore dalla chiusura del vertice de La Valletta sulle migrazioni, e siamo vicini e solidali con le famiglie delle vittime e le numerose persone ferite, e con tutto il popolo francese. Tuttavia con preoccupazione - come se non si aspettasse altro - assistiamo ad un proliferare di dichiarazioni che vogliono strumentalmente legare le migrazioni ai fatti terroristici. Se leggere le ragioni profonde dei tragici fatti di Parigi di venerdì sera richiede tempo ed analisi, l’esplosione del numero di richiedenti asilo degli ultimi mesi è proprio la conseguenza di una guerra che si sta consumando sull’altra sponda del Mediterraneo, all’interno del mondo islamico, in cui i combattenti di IS sono attori non di secondo piano e di cui chi scappa ne subisce le atrocità e ne rifiuta le motivazioni.

Ancor più oggi, l’importante vertice de La Valletta chiuso giovedì scorso non deve risultare un’occasione sprecata. Finalmente l’Unione Europea negli ultimi mesi ha deciso di occuparsi con più consistenza di migrazione, spinta certamente da una schiacciante evidenza dei fatti rispetto ai quali non è più possibile rimanere inerti. Durante il vertice l’UE ha dichiarato l’intenzione di inserire tra le sue parole d’ordine riduzione della povertà, protezione dei diritti, contrasto alle guerre e ai cambiamenti climatici con l’obiettivo di sostenere - sulla base di congiunte responsabilità -  i paesi africani nella rimozione delle cause profonde della migrazione. Con questa finalità, è stato elaborato un Piano d’Azione e lanciato uno strumento ad hoc: il Fondo Fiduciario di Emergenza (EU Emergency Trust Fund) finanziato per 1,8 miliardi di Euro dall’Unione Europea, ai quali finora si sono aggiunti 81milioni provenienti dai singoli stati membri.

Tuttavia il risultato raggiunto a La Valletta ha lasciato alcuni margini di ambiguità ed importanti punti di insoddisfazione che rischiano di pregiudicare l’ambizione annunciata, soprattutto ora, alla luce dei fatti di Parigi.

Per primo. Il Piano di Azione mette insieme diritti, sviluppo e sicurezza. Ma quale peso hanno rispetto agli impegni assunti il controllo e alla garanzia delle frontiere rispetto alla promozione dello sviluppo, di condizioni eque di lavoro, il sostegno di meccanismi democratici e di protezione e salvaguardia dei diritti umani?

Il Fondo Fiduciario istituito ad hoc ugualmente non chiarisce la consistenza delle risorse che andranno per rafforzare le frontiere e quelle per migliorare le condizioni di sostenibilità sociale, economica, ambientale e di rispetto dei diritti, necessarie perché la migrazione sia un’opportunità e non l’unica scelta possibile per troppe persone. 

Più in generale, rispetto alle risorse, il dubbio principale è se con le stesse sia possibile immaginare di affrontare i molteplici punti previsti dal Piano di azione. Sviluppo, prevenzione, protezione, gestione della migrazione, lotta al traffico di esseri umani, sicurezza e rafforzamento delle frontiere sono obiettivi enormi. La consistenza del Fondo, sebbene se ne apprezzi e riconosca lo sforzo, non può che risultare inappropriata se verso queste aspirazioni non converge un complessivo riallineamento delle politiche e degli strumenti europei dove di fatto transitano la maggior parte delle risorse. Se nella dichiarazione politica emersa dal summit si fa riferimento alla necessità di contribuire alla sicurezza, privilegiando azioni diplomatiche per la risoluzione dei conflitti rispetto al mercato delle armi, impegni concreti in questa direzione non ce ne sono. Né si individuano strumenti e percorsi atti a rendere coerente la politica commerciale di scambio Europa/Africa con gli obiettivi di lotta alla povertà, promozione della piccola agricoltura sostenibile, eliminazione delle pratiche di sfruttamento delle risorse naturali e di land grabbing, solo per citare alcuni dei fattori che maggiormente riducono le potenzialità di sviluppo degli stati africani.

Ci auguriamo inoltre che il Fondo attinga totalmente a risorse fresche e non già stanziate per gli obiettivi di cooperazione internazionale: uno spostamento da una finalità di sviluppo ad un’altra non assicura un incremento dell’impatto complessivo della politica proposta. Ci attendiamo altresì che il meccanismo di attribuzione delle risorse che determina il fondo attivi una reale partecipazione dei paesi beneficiari. Ad oggi, sebbene siano previste occasioni di confronto con le istituzioni dei paesi oggetto degli interventi, le decisioni rimangono in capo ai paesi europei. Troppo spesso abbiamo assistito a programmi calati dall’alto che non hanno prodotto i risultati sperati, perché le iniziative si sono rivelate poco coerenti con l’attivazione di uno sviluppo endogeno.

Sul piano dei diritti e della mobilità gli stati africani chiedevano una maggiore cooperazione sulla mobilità interna e verso l’Europa e che si parlasse unicamente di azioni atte a favorire i rientri volontari. Invece i documenti finali fuoriusciti dal vertice sottolineano solo una preferenza ai rientri volontari, lasciando chiaramente emergere la pratica dei rimpatri forzati.

Il richiamo e l’accento posto sul rispetto dei diritti umani nel Piano di azione è giustamente ripetuto. Tuttavia non si sottolinea che uno sforzo necessario e cospicuo deve essere fatto in questa direzione nei nostri paesi di transito e di destinazione, partendo soprattutto dalla rimozione di quelle numerose situazioni in cui attualmente non si sta operando secondo tali principi.

D’altronde, non possiamo dimenticare che il vertice s’inquadra in un contesto in cui le posizioni europee stanno segnando la messa in discussione di Schengen, con le azioni ungheresi, le difficoltà sul fronte dei Balcani occidentali, le debolezze tedesche e le simpatie dello stesso presidente del consiglio Europeo Donald Tusk verso azioni drastiche e radicali da parte dell’UE sul rafforzamento delle frontiere, anche con una conseguente riduzione della mobilità. La Polonia nelle ultime ore ha già dichiarato di non accettare più il piano dell'UE sui migranti.

Con 10 milioni di Euro stanziati, registriamo con soddisfazione che l’Italia è stato uno dei paesi che fino ad ora ha dato maggiori disponibilità a complementare la quota stanziata dalla UE per il Fondo Fiduciario. È anche tra i membri fondatori del Fondo e come tale ha la possibilità di indirizzare strategie ed allocazioni, nonché la possibilità di gestire direttamente progetti che saranno finanziati attraverso il Fondo. In questo rinnovato scenario di impegno della nostra cooperazione, che dovrebbe essere confermato anche dalle risorse per la cooperazione previste nella legge di stabilità, speriamo che il nostro paese si faccia garante che i fondi e le politiche risultanti dal vertice non siano applicati in chiave riduttiva. In altre parole, speriamo che l’Italia, ancor più nel difficile contesto che emerge dopo i drammatici fatti di Parigi, si faccia promotrice di un’azione congiunta e rafforzata di lavoro verso gli obiettivi di sostenibilità approvati a settembre alle Nazioni Unite, riconducendo il fenomeno delle migrazioni ad un’opportunità di reciproca crescita e scambio e non alla fuga da condizioni umane, sociali, economiche inaccettabili per lo sviluppo delle persone. Se l’implementazione del piano previsto dal vertice de La Valletta dovesse far emergere una strategia dell'UE appiattita sui temi della sicurezza e intenzionata ad esternalizzare verso i paesi di origine e transito i problemi che oggi sta affrontando ai propri confini - senza intervenire veramente con un programma di respiro che contrasti le disuguaglianze - il risultato sarà miope, inefficiente, non porterà risultati. Anzi, produrrà frustrazione ed arretramento sia nella vicina Africa che nei valori di civiltà e prospettive reali per l’Europa. 

Margherita Romanelli – Policy Adviser GVC