“Il commercio internazionale, quando è equo solidale, è un’alternativa fondamentale per il  miglioramento delle condizioni ambientali e lavorative del settore agricolo”.  A parlare di commercio equo e sostenibile è Eva Carazo attivista e esperta di movimenti sociali legati al settore agricolo e alla sostenibilità, nostra ospite nei giorni scorsi a Bologna e testimonial della campagna Make Fruit Fair per il Costa Rica. Make Fruit Fair è un progetto che coinvolge più di 20 paesi europei ed extraeuropei, per informare e promuovere pratiche di consumo, commercializzazione e condizioni di lavoro sostenibili nel settore della frutta tropicale, in particolare banane e ananas, di cui GVC è l’unico partner italiano.

Durante la sua visita a Bologna, Eva Carazo ha incontrato diversi stakeholder e decision maker per un confronto attivo sulle buone pratiche da adottare nel commercio equo-solidale e nelle coltivazioni sostenibili. Inoltre, è stata intervistata da diversi giornalisti, fra cui Giuditta Pellegrini per TERRA NUOVA, che già in marzo aveva pubblicato un esteso reportage su Make Fruit Fair.

 Eva ha raccontato quello che accade nelle piantagioni di ananas del suo paese, il Costa Rica, delle pratiche intensive di coltivazione che impoveriscono e inquinano il territorio e sfruttano i lavoratori, costringendoli a lavorare in condizioni disumane.

Il Costa Rica è il principale esportatore di ananas in Europa, e uno dei principali nel mondo. E' il nostro terzo prodotto di esportazione, dopo le banane e i microchip (perché abbiamo un distaccamento di Intel). Quello dell'ananas è un settore molto redditizio che si trova in mano alle sfere politiche e finanziarie più potenti. E' per questo che anche se sono numerose le voci che si oppongono a quel modello di produzione, non hanno il potere di cambiare le cose” afferma Eva Carazo.

Nonostante i cospicui investimenti in progetti di sostenibilità, come le riserve naturali, buona parte del territorio costaricense, a partire dagli anni ’80, è stato destinato a modelli di coltivazione orientati al consumo.  La monocoltura volta all’esportazione ha portato gravi conseguenze a tutto il paese e ha generato numerosi conflitti sociali, nelle zone rurali le comunità locali lottano per l’accesso all’acqua potabile  o per difendere il territorio dall'espansione immobiliare.

 “È urgente fare fronte alla crisi in atto migliorando le pratiche ambientali e lavorative e assicurando il diritto di organizzazione sindacale, e dall'altra è necessario rinforzare le alternative, come la piccola produzione, i mercati locali e altre forme di agricoltura. Per questo motivo la campagna Make Fruit Fair è arrivata in un momento ideale perché ha obbligato i produttori ad aprire la discussione e a rispondere di particolari casi. Inoltre è servita per far capire alla gente di qui che abbiamo degli alleati in Europa che stanno lavorando nella stessa direzione e che condividono la stessa nostra visione del mondo” continua Eva Carazo.

Un gesto simbolico, ma che fa ben sperare, è arrivato dal Parlamento Europeo che lo scorso 7 giugno ha approvato il dossier Unfair Trading Practices che mira ad alzare gli standard di sostenibilità nei paesi produttori di alimenti destinati all'esportazione.  “Noi crediamo che sia un ottimo segnale” conclude Eva “perché dimostra un'intenzione di cambiamento  da parte della Unione Europea. Tuttavia il gesto è ancora più che altro simbolico, finché la Commissione Europea non definirà la sua messa in pratica. Quindi continuiamo a lavorare con le organizzazioni come Oxfam e GVC affinché si concretizzi questa dichiarazione di buone intenzioni per adottare forme di mercato che obblighino le imprese produttrici a cambiare le condizioni. Perché se il cambiamento non è strutturale, le imprese non faranno altro che spostarsi in luoghi in cui vengono meno infastidite, e non vogliamo che questo modello vorace si sposti altrove, né che le persone perdano la loro unica opportunità di lavoro. Quello che vogliamo è che la situazione cambi a partire da tutta la filiera”.