Aveva una corda legata ai fianchi e doveva lavorare rimanendo appesa alle colonne di un edificio in costruzione alto 56 piani. Ma Horum, 35 anni e due figli in Cambogia, era felice di aver trovato quel lavoro come saldatrice in Tailandia. “Potevo guadagnare 86 dollari, lavorando per sette ore al giorno. Non avevo troppa paura del vuoto” ci racconta.
La sua non è una storia isolata. Ogni anno, nel mondo, 30 milioni di persone vengono ridotte in schiavitù.
E’ un fenomeno che produce un fatturato per intermediari e trafficanti di 32 miliardi di euro l’anno. Le donne che al confine tra Cambogia e Tailandia rimangono vittime di tratta sono 120 mila.
Come Horum, infatti, gran parte delle lavoratrici cambogiane arriva in Tailandia da irregolare. Lei e le sue compagne di viaggio spesso non sanno che sono necessari i documenti o non ne sono in possesso perché la burocrazia impone iter difficili, lunghi e costosi. Laddove la legge non arriva, la tratta di esseri umani ha inizio. Le donne si affidano a un trafficante, pronto a organizzare gli spostamenti irregolari lungo il confine, senza badare ai diritti e alla dignità delle persone.
A mettere fine alla schiavitù di Horum, è stata l’irruzione sul cantiere in cui stava lavorando della polizia tailandese in cerca di migranti irregolari.
“Non potevo scappare perché ero legata alla corda in cima all’edificio, per questo mi hanno presa ed ammanettata, insieme ad altri 118 cambogiani- dice-. In cella, c’erano altre venti ragazze cambogiane e tailandesi, senza letti o cuscini. Ci hanno dato solo una coperta a testa- spiega-. Il cibo era molto poco, e continuavo a sentire persone piangere.”
Emigrare in Tailandia alla ricerca di una qualche opportunità lavorativa per molte cambogiane delle campagne, analfabete, è l’unica scelta possibile.
Per questo lavoriamo al confine tra la Cambogia e la Tailandia con un programma contro il traffico di esseri umani e lo sfruttamento del lavoro.
Per combattere la tratta, bisogna partire dal basso, dai villaggi, dal coinvolgimento di circa 10.000 beneficiari tra potenziali migranti, autorità locali e nazionali, attraverso delle campagne di sensibilizzazione che hanno l’obiettivo di:
- condividere e diffondere informazioni sulla migrazione sicura e i rischi legati alla migrazione irregolare;
- coinvolgere ambasciatori sociali come Horum che hanno vissuto in prima persona la tratta e che raccontano la propria storia;
- creare occasioni di formazione per facilitare la richiesta di documenti per una migrazione sicura.
Vogliamo far sentire la voce delle vittime, perché aiutino a promuovere un cambiamento. Tutto questo sarà possibile anche grazie al tuo sostegno > Dona ora