Di seguito l'intervista per Redattore Sociale alla nostra cooperante Lilli Marinello. 

Impegnata con la ong Gvc-Italia, dopo aver lavorato in Nicaragua, Argentina e Bolivia, ora segue, tra gli altri, progetti di sicurezza alimentare. “Mi ritengo fortunata, ho conosciuto situazioni difficili ma anche donne meravigliose, in prima fila per se stesse e per le altre”

Nicaragua, Argentina, Bolivia, Cuba. Sono i Paesi in cui ha lavorato Lilli Marinello, cooperante della ong bolognese GVC dal 1983. “Ho iniziato nel settore documentazione e informazione – racconta – Non era un lavoro, per molti di noi è stato così. Venivo dal movimento del ’77, in particolare da quello delle donne, e cercavo un posto in cui esprimere la mia voglia di partecipare, di cambiare il mondo. Credevo che fosse possibile costruirne uno su equilibri più giusti”. In Gvc, Lilli Marinello ha iniziato come volontaria. Ci sono voluti due anni perché arrivasse la possibilità di partire, “di conoscere le realtà con cui lavoravamo da dentro”, per il Nicaragua, Paese che stava attraversando un processo rivoluzionario. C’è rimasta tre anni, poi dopo un periodo in Italia è ripartita alla volta dell’Argentina. Dopo aver collaborato ad alcuni progetti in Bolivia, Lilli è da due anni e mezzo a Cuba dove si occupa di sicurezza alimentare, autonomia produttiva, mini-industrie locali in cui trovano impiego anche le donne. 

Di cosa ti occupi a Cuba?

Attualmente i nostri progetti riguardano la sicurezza alimentare, in particolare il sostegno a produzioni di grande consumo da parte della popolazione, come fagioli e mais. L’obiettivo è dare una maggiore autonomia produttiva al Paese, rafforzare i mercati locali, sostenere la produzione agroecologca. Abbiamo anche introdotto, nei nostri progetti, mini-industrie locali, un’attività nuova per Cuba in cui, spesso, trovano impiego donne, anche in ruoli dirigenziali. Poi sosteniamo giovani che si occupano di audiovisivo, un progetto che coinvolge Cuba, Haiti e Repubblica Dominicana ed è interessante perché si lavora su realtà molto diverse tra loro. Molti dei prodotti realizzati a Cuba riguardano la vita delle donne. In questi giorni sono stata impegnata nello studio di fattibilità di un progetto sul sostegno ai servizi per persone anziane e giovani disabili all’Avana Vecchia. Qui i servizi alla persona sono in gran parte coperti dalle donne, sia nel pubblico che nel privato. In quest’ultimo, poi, anche in una società “educata” come quella cubana si assiste all’abbandono da parte familiare dei padri, in particolare quando ci sono bambini con disabilità. Questo progetto ha come obiettivo il riconoscimento economico del lavoro delle donne nell’economia dei servizi alla persona. Poi abbiamo anche altre piccole iniziative di sviluppo locale e sostegno agli asili. 

Prima di Cuba sei stata in Nicaragua e in Argentina. Di cosa ti occupavi in quei paesi?

Ho vissuto in Nicaragua dal 1985 al 1988. Erano anni interessanti, il Paese era in costruzione e c’era gente da tutto il mondo. In Argentina sono arrivata dopo la crisi del 1989 e sono rimasta fino al 1996. Mi occupavo soprattutto di emergenza sanitaria e sociale, ma lavoravo anche con associazioni di donne, sempre in prima fila nei momenti di crisi. Una di queste, un’associazione di San Javier nel Nord del Paese lavorava e lavora tuttora su traffico di donne, prostituzione, gravidanze tra le adolescenti. Nel 1996 sono venuta a Cuba per la prima volta e ci sono rimasta 6 anni. Cuba era in pieno periodo speciale e i nostri programmi andavano dalla produzione di alimenti al supporto alle strutture per anziani, da esperienze innovative nell’ambito dell’educazione all’inserimento dei disabili nel mondo del lavoro. Alla fine del 2001 sono ritornata in un’Argentina immersa in una delle peggiori crisi economiche. Era un paese impoverito e irriconoscibile. Abbiamo sviluppato alcuni progetti interessanti con cooperative, piccoli produttori, donne. Ci siamo occupati di progetti di microcredito, riciclo, progetti sociali. In quegli anni ho collaborato anche con alcune iniziative del Gvc in Bolivia. Da due anni e mezzo sono tornata a Cuba, un paese in grande cambiamento.

Non deve essere facile trovare stimoli e forza. Dove trovi le risorse per andare avanti ogni giorno?

Sono e mi considero una donna fortunata. Ho conosciuto situazioni difficili, ma anche persone meravigliose e ho imparato molte cose. Lo scoramento, se così si può chiamare, riguarda non tanto il lavoro quanto le ingiustizie a cui ci troviamo di fronte, anche nel quotidiano. Ricordo una giovane donna argentina che veniva tutti i giorni ai nostri corsi sul microcredito: la sua famiglia era molto povera e lei voleva allevare polli. Arrivava con i suoi due bambini, sempre puliti, educati. Mentre la mamma prendeva appunti, la bambina più grande seguiva il fratellino. Poi non è più venuta, allora siamo andati a cercarla ma il marito ci ha cacciato in malo modo da casa. Abbiamo capito che se la sarebbe presa con lei e non abbiamo insistito. È solo un episodio ma ce ne sono altri, anche più duri, di violenza esplicita. Posso dire però di aver conosciuto sia in Argentina che in Bolivia donne che sono riuscite a trasformare il loro dolore in lotta, come le madri dei ragazzi dei quartieri poveri che vengono malmenati o incarcerati dalla polizia o quelle le cui figlie sono vittime del traffico di donne. La loro capacità di lottare è incredibile. 

È difficile essere cooperante donna nella comunità in cui lavori?

A Cuba la gente è molto affettuosa e non è difficile lavorare. In altre realtà a volte lo è stato. Lasciare il nostro Paese ci pone di fronte alla necessità di cambiare. Quando lavori con le popolazioni indigene va superata la diffidenza, ma tutto è possibile nel rispetto dell’altro e conservando la capacità di capire che non abbiamo la verità in tasca, che abbiamo molto da imparare e che i nostri progetti sono solo un percorso da costruire insieme. 

Quali sono i rapporti con le donne della comunità?

A Cuba il lavoro è mediato dalle istituzioni. Ma il livello professionale è alto e non è difficile rapportarsi con le altre donne. Nel settore agricolo c’è ancora molto da fare perché vi sia una partecipazione paritaria delle donne nei ruoli decisionali. Nei nostri progetti cerchiamo di assicurare questa partecipazione, fin dall’organizzazione delle attività, prestando attenzione agli orari in cui fare i corsi e ai contenuti. 

Qual è il ruolo della donna nei Paesi in cui hai lavorato?

A Cuba le istituzioni si sono impegnate per assicurare la partecipazione delle donne, a tutti i livelli. Partecipazione che viene garantita dall’alto livello educativo. Non è un caso che Cuba sia uno dei Paesi dell’America Latina con la percentuale più alta di donne dirigenti. I cambiamenti nel quotidiano sono più lenti: anche quando occupano ruoli dirigenziali, sono le donne a doversi occupare dell’organizzazione familiare. Nel caso dell’Argentina, nei settori poveri la situazione è diversa: in genere sono le donne a doversi occupare della famiglia, anche economicamente, e l’abbandono da parte degli uomini è frequente. Ma è anche sorprendente la loro capacità di reagire. A Rosario abbiamo appoggiato un’associazione di orticoltura in cui le dirigenti erano tutte donne, con situazioni familiari difficili, con problematiche complesse di droga, violenza e precarietà abitativa, ma tutte lì, in prima fila per se stesse e per le altre. (Ambra Notari – lp)

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