Il 13 settembre 1993 venivano firmati gli Accordi di Oslo, tappa cruciale del processo di pacificazione del conflitto arabo-israeliano.
A vent’anni da quella data si può però constatare come buona parte di quello che era stato previsto non si è effettivamente realizzato, soprattutto in merito alla ripartizione e all’accesso alle risorse idriche. Paradossalmente alcune situazioni si sono addirittura aggravate: in Cisgiordania i palestinesi hanno accesso a meno acqua di quanto non avessero nel 1993, soprattutto a causa dello sfruttamento continuo da parte di Israele dell’acqua proveniente dalla principale falda montana della regione, costringendo i palestinesi in uno stato di dipendenza sempre maggiore.
Si pensi che il livello di prelievo di acqua in Cisgiordania è sceso da 138 milioni di metri cubi (mmc) del 1999 a113 nel 2007, fino ad arrivare a 86.9 nel 2011; la Palestinian Water Authority ha inoltre acquistato nel 2004 38 mmc da Israele, arrivando ad un acquisto di 52 mmc nel 2011.
Sin dagli Accordi di Oslo, Israele controlla quasi tutte le risorse idriche dei Territori Occupati, impedendo un maggiore accesso all'acqua alla popolazione palestinese, nonostante il fatto che da allora la popolazione sia raddoppiata.
L’OMS ha indicato come “minimo assoluto” un consumo domestico pari a 100 litri pro capite al giorno: in Cisgiordania questo dato si aggira intorno ai 70 litri, in Israele intorno ai 300; a questo bisogna aggiungere che l’accesso all’acqua potabile in Palestina è più basso anche rispetto agli altri paesi della regione, luoghi che non spiccano certo per abbondanza di risorse idriche.
Un problema cruciale per la corretta ripartizione delle fonti d’acqua è costituito dagli insediamenti: i coloni israeliani nella valle del Giordano consumano in media 81 volte più acqua dei palestinesiin Cisgiordania e la costruzione di sempre nuove colonie porta la demolizione di molte infrastrutture idriche locali, quali pozzi, cisterne e latrine, causando tra i vari problemi anche l’abbandono da parte dei palestinesi delle proprie abitazioni e il trasferimento in zone più lontane dagli insediamenti israeliani.
Per quanto riguarda la striscia di Gaza, la situazione si aggrava ulteriormente. Meno del 5% dell'acqua estratta dalla falda acquifera costiera - l'unica fonte di acqua disponibile- è considerata potabile.
Secondo gli Accordi di Oslo, Israele ha l'obbligo di vendere ogni anno circa 5 mmc a Gaza, una quota che è stata calcolata sulla base di una popolazione di 748.000 abitanti.
Nel 2011 la popolazione di Gaza ammontava ad un milione 657mila persone, ma le quote d'acqua non sono mai state ricalcolate. La falda risulta così essere eccessivamente sfruttata, rischiando il suo esaurimento e provocando un grave problema di contaminazione: il 95% dell'acqua estratta presenta già pericolosi livelli di nitrato e cloruro e non risulta perciò essere idonea al consumo umano.

EWASH
In questo difficile contesto lavora EWASH , organismo di coordinamento delle ONG operanti nel settore water and sanitation in Palestina - tra le quali GVC - che cerca di migliorare l’accesso all'acqua e ai servizi igienici nei territori palestinesi occupati e di ridurre al minimo l'effetto negativo della situazione politica.
In occasione del ventennale degli Accordi di Oslo EWASH riporta l’attenzione sul problema dell’acqua in Palestina, per sensibilizzare e ricordare una delle gravi mancanze ancora presenti nel territorio e la necessità politica di rivedere un documento di pace che è ormai da considerarsi, oltre che fallimentare, anche superato.