Il 3 marzo scorso Berta Cáceres, attivista honduregna per i diritti ambientali della propria comunità contro lo sfruttamento delle risorse naturali, veniva uccisa nella sua casa, dopo varie minacce di morte. Purtroppo il suo non è un caso isolato, ma l’ennesimo episodio di una catena di morte, minacce ed intimidazioni verso coloro che, specie in America Latina, lottano per difendere le proprie terre, la propria identità e garantire un futuro degno per sé stessi e le generazioni a venire. Le donne sono state spesso in prima fila in queste lotte, anche laddove la condizione femminile è particolarmente svantaggiata, come in paesi di cultura “machista” dell’America Latina e in settori tradizionalmente maschili come quello agricolo. Pensiamo per esempio alle piantagioni di banana, il frutto più consumato in Europa e negli Stati Uniti, dove la condizione della donna è fra le peggiori.

In un panorama desolante per quanto riguarda i diritti umani come quello delle piantagioni di frutta tropicale, le donne sono le più vulnerabili all’interno di una già di per sé vessata categoria. Sono sottoposte all’instabilità di contratti giornalieri e a brevissimo termine, esposte a un’assoluta precarietà, discriminate nell’accesso al lavoro in quanto considerate impiegate “high risk, high cost”, cioè assolutamente non convenienti nell’ottica di massimo guadagno, e sottopagate rispetto ai già sottopagati colleghi maschi. Si dedicano per lo più all’impacchettamento delle banane il che significa lavorare 14 ore al giorno ad una temperatura di 38°, al 90% di umidità in un ambiente soffocante con mani e piedi nell’acqua, respirando prodotti chimici tossici, il tutto per 5 dollari giornalieri. E rischiano costantemente di restare senza lavoro, perché rimangono incinte o per problemi di salute. Cosa fare allora? Abbandonare, emigrando in città, oppure provare a lottare, prendendo in mano il proprio destino? Miladys ha optato per la seconda scelta, e per questo possiamo raccontarvi la sua bella storia.

Miladys è proprietaria di un’azienda produttrice di banane bio e fairtrade a Boca de Mao, Valverde, in Repubblica Dominicana. Dopo il divorzio, è costretta a reinventarsi per provvedere all’educazione dei propri figli. Decide quindi di rilevare l’azienda di famiglia, una produzione a conduzione familiare di circa 25 ettari, e 16 anni dopo è diventata vicepresidente dell’associazione di produttori della zona. “Uno dei miei desideri più grandi sarebbe che le donne dominicane si integrassero nel settore delle banane, perché è duro lavorare nei campi, ma se i sogni sono grandi, non importa quanto forte sia il sole o duro il lavoro”. Miladys ha trovato il modo di realizzarsi aiutando anche la propria comunità: grazie alla certificazione “equo solidale” il guadagno viene investito socialmente, per migliorare le condizioni di vita di tutti (costruire strade, scuole ecc), oltre che a rispettare standard minimi di rispetto dei diritti salariali, tutela della salute ambientale e dei lavoratori.

Un ruolo importante in questa partita la giocano i supermercati, dato che negli ultimi dieci anni sono loro a detenere la maggior parte del potere contrattuale rispetto ai produttori, importando e contrattando direttamente sui prezzi pagati all’origine. Più sono bassi più si ripercuotono sugli ultimi della filiera, mentre il supermercato di turno può offrire ai propri clienti un prezzo basso in grandi quantità che si traduce in grande guadagno. Quello che il consumatore paga per l’acquisto di una banana, infatti, il 41% finisce nelle tasche delle grandi catene di distribuzione, e solo il 7% va al lavoratore.  

Cosa fare allora per sostenere Miladys e tutte le donne in lotta come lei? “Chiedo all’Europa di consumare banane biologiche e fairtrade, perché in questo modo possono aiutare noi paesi in via di sviluppo a crescere economicamente e ad aiutare tutte le persone che lavorano nelle piantagioni”. La prossima volta che stiamo per comprare una banana ricordiamoci delle parole di Miladys, ma anche di Berta e di tutte le donne che lottano nel mondo. Non solo l’8 marzo.

Guarda il video completo dell'intervista a Miladys 

GVC da sempre lavora per le donne nel mondo. In Tunisia sostiene e finanzia le donne residenti nelle comunità rurali nella creazione di cooperative produttrici di miele e formaggio; in Burundi sostiene “les mamans lumières” contro la malnutrizione infantile, così come in Burkina Faso fornisce informazione sanitaria e alimentare alle madri per la cura dei propri figli. 

Inoltre è fondamentale il lavoro apportato dalle donne della nostra organizzazione. Il 41% del personale in Italia e all’estero, infatti, è costituito da donne, come Lilli Marinello, storica cooperante GVC. 

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