Nonostante la dichiarazione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu sull’illegalità delle occupazioni israeliane e con la storica astensione degli USA, dei 45.000 palestinesi cristiani che vivono in Cisgiordania, Gerusalemme e Gaza solo 500 hanno potuto visitare Betlemme. A differenza delle migliaia di pellegrini che da tutto il mondo hanno raggiunto la città simbolo del Natale cristiano, ai palestinesi non è stata permessa la celebrazione della festa: l’ennesimo diritto negato ad una popolazione la cui vita è scandita dalla paura e dalla violenza.  

Manger Square, una delle piazze simbolo della città di Betlemme, è addobbata a festa. La città che secondo la tradizione cristiana ha ospitato la nascita di Gesù attira pellegrini da tutto il mondo: è il simbolo delle festività natalizie, con la Basilica della Natività e altri luoghi sacri per la comunità cristiana mondiale.

Quest’anno però Betlemme era semi deserta, per migliaia di famiglie nessuna corsa ai regali e festività in famiglia. I sogni e le aspirazioni di amore e pace di quasi 45 mila cristiani palestinesi che vivono in Cisgiordania, Gerusalemme e nella Striscia di Gaza sono stati fermati dalle procedure israeliane che hanno impedito l’arrivo della maggior parte di loro nella città di Betlemme, per pregare e partecipare alla tradizionale messa di mezzanotte nella Basilica della Natività. Il muro israeliano vieta a migliaia di palestinesi di entrare a Gerusalemme e può essere oltrepassato esclusivamente tramite l'emissione di un permesso speciale. Padre Ibrahim Faltas, della Chiesa Latina, ha dichiarato che quest’anno solamente 500 palestinesi cristiani sono stati autorizzati a oltrepassare il muro per recarsi da Gaza e Gerusalemme a Betlemme. Insomma, la città simbolo della natività cristiana può essere visitata da migliaia di persone provenienti da tutto il mondo, ma non dai tanti cristiani palestinesi che vivono al di là del muro di separazione lungo oltre 700 Km che Israele ha costruito negli ultimi 15 anni e sta continuando ad estendere.

Il 23 dicembre 2016, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, con la storica astensione del voto degli Stati Uniti, ha ribadito che le occupazioni dei territori palestinesi da parte di Israele, perpetrate dal 1967, compresa Gerusalemme Est, non hanno alcun valore legale, bensì costituiscono una violazione del diritto internazionale e un ulteriore ostacolo alla possibilità che i due paesi vivano fianco a fianco in maniera pacifica entro confini internazionalmente riconosciuti.

Ciononostante, la popolazione palestinese continua ad essere vittima di violenze e intimidazioni, a cui vengono negati i diritti fondamentali: nel 2016 91 persone sono state uccise, di cui 24 bambini; 3.022 sono rimaste ferite; 100 mila case sono state distrutte o rese inagibili; 265 mila bambini necessitano di protezione e supporto psicologico; un milione di persone hanno scarso o nullo accesso all’assistenza sanitaria di base (dati Ocha - Office for the Coordination of Humanitarian Affairs dell’Onu, dicembre 2016).

Il 2016 ha visto poi un crescendo nelle ondate di demolizioni di quelle che lo Stato israeliano dichiara costruzioni illegali: dalla Cisgiordania a Gerusalemme Est, in aperta violazione del diritto internazionale, 11.000 sono stati gli ordini emessi e 65.000 i palestinesi sfollati (dati Ocha, dicembre 2016). In particolare nell’Area C, l’area palestinese tutt’ora sotto il controllo amministrativo e militare israeliano,  la vita quotidiana di donne, uomini e bambini palestinesi è scandita dalla paura delle distruzioni, dalle violenze e dalle intimidazioni sistematiche da parte dei coloni israeliani.

GVC è presente in Palestina dal 1992, con progetti multisettoriali fra i quali interventi di protezione e assistenza alle comunità palestinesi vittime di trasferimenti forzati, finanziati dalla Commissione Europea.