La testimonianza della nostra rappresentante Paese, Chiara Caporizzi, sulla grave crisi umanitaria che l’isola di Haiti si trova ad affrontare dopo il passaggio dell’uragano Matthew.

Dopo il terribile uragano Matthew dello scorso ottobre, che ha colpito oltre 2 milioni di persone, di cui quasi la metà  bambini, oggi la crisi umanitaria è ben lontana dall’essere risolta.

In tre grandi dipartimenti del paese (Grand’Anse, Sud e Nippes) l’uragano ha distrutto la totalità dei raccolti, persino gli alberi da frutto sono stati sradicati: “Il cocco è una fonte di reddito importante, viene venduto a livello nazionale e all’estero. E anche se ripiantato, una pianta impiega 10 anni a ricrescere – racconta accorata Chiara Caporizzi, nostra rappresentante ad Haiti. “Nei campi, in cui nel giro di qualche settimana si sarebbero raccolti fagioli e altri prodotti che fanno parte dell’alimentazione di base di queste persone, i fortissimi venti e le piogge hanno spazzato via tutto. Ci sono detriti, alberi caduti, carcasse di animali. Percorrendo queste zone, il contrasto fra la bellezza dei luoghi (mare limpidissimo, montagne maestose) e la rovina nei campi, con tutti ma proprio tutti gli alberi recisi come se un grosso machete si fosse abbattuto scientificamente su di loro, è impressionante”.

Nelle zone del Sud, in cui i principali centri sono villaggi rurali, come Saint Louis, Saint Jean e Tiburon, l'80% dei raccolti è andato perduto, e ciò comporta un grave rischio per l’autosufficienza alimentare. L’economia del paese si basa su un’agricoltura di sussistenza, sia a uso familiare ma anche come fonte di reddito: è il caso degli alberi da frutto, ma si parla anche di attrezzature, bestiame, sementi. È stato strappato via tutto, distrutto.

I leader comunitari sono molto preoccupati: se entro la fine dell’anno non verranno ripiantati i semi, non si potrà raccogliere nulla, e cosa avranno da mangiare?- continua Chiara. – Questo vuol dire distribuire semi, rifornire di attrezzature e bestiame, ma l’intervento più urgente è sgomberare i campi, ripristinare un terreno coltivabile. Ed è un lavoro ad alta intensità, come manodopera, e ovviamente fondi”. I danni all’agricoltura ammontano a 580 milioni di dollari, superiori alle stime iniziali, mentre gli aiuti da parte della comunità internazionale sono fermi al 45%, con l'Unione Europea fanalino di coda in questa emergenza umanitaria. 

Anche se la principale preoccupazione degli haitiani è quella di ricominciare a lavorare e a coltivare la terra, l’uragano Matthew si è abbattuto anche su edifici e scuole. In particolare, 116.000 bambini fra i 5 e i 14 anni non vanno a scuola da oltre due mesi, sia perché gli edifici scolastici non ci sono più (1663 sono distrutti o inagibili), sia perché sono occupati dalle famiglie sfollate che altrimenti non saprebbero dove andare. E  anche quando qualche attività educativa viene ripresa, le interruzioni sono frequenti a causa delle riabilitazioni degli edifici, o perché manca il materiale o l’insegnante. Per la maggior parte dei bambini haitiani la scuola è il luogo in cui sono più sicuri e protetti, di conseguenza  il rischio che alcuni abbandonino, o che rimangano vittime di violenze, è alle porte.

La tensione è già alta, ci sono già stati casi di assalti ai convogli umanitari, quando la lotta è fra miseria e miseria nera, a far scoppiare la violenza basta poco” – conclude Chiara. “Già sono iniziate delle migrazioni interne dalle campagne alle città, in particolare a Port Au Prince, la capitale, ma dicono tutti che se non si riusciranno a riavviare le attività agricole in tempo utile, questi flussi potrebbero diventare degli esodi, con le problematiche conseguenti”. Non sono pochi i casi di violenze già accertati, specie sulle categorie più vulnerabili, donne, bambini e anziani, ma la situazione potrebbe diventare ancor più esplosiva.

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