A Gaza, gli edifici distrutti sono 9 mila, quelli molto danneggiati 8 mila e quelli che hanno bisogno solo di riparazioni 43 mila. Queste le stime di Nabil Abu Muaileq, presidente della Palestinian Contractor’s Union, che riunisce i 300 costruttori della Striscia.

“Noi rientriamo oggi, sembra si vada verso una situazione di calma relativa – annuncia Luca de Filicaia, Country director di Gvc – Ma non sono molto fiducioso. Negli ultimi giorni ci sono stati alcuni problemi con i pescatori: in base all’accordo possono spingersi fino a sei miglia marine rispetto alle 3 precedenti, ma c’è ancora un po’ di confusione. Stiamo a vedere, i negoziati sono in corso”. Dall’8 luglio, giorno ufficiale di inizio dell’operazione Margine di protezione, il personale locale Gvc (i gazawiri non possono abbandonare la Striscia) non ha mai smesso, nei limiti imposti dalla sicurezza, di distribuire acqua potabile. Ma, come anticipato, anche le infrastrutture hanno subìto danni anche ingenti: “Continueremo a lavorare per la distribuzione dell’acqua in collaborazione con Unicef”, spiega de Filicaia. L’organizzazione bolognese ha anche il compito di coordinare tutti gli interventi Wash (Water sanitation and hygiene) nella Middle Area: “Non dobbiamo sovrapporci né sperperare risorse: per questo lavoriamo a stretto contatto con la Coastal municipalities water utility, l’organizzazione responsabile per l’acqua e i servizi sanitari nella Striscia e la Palestinian water authority, istituzione palestinese per la gestione delle risorse idriche”.

De Filicaia, da 3 anni e 3 mesi in Palestina per Gvc, insieme con altri colleghi, era già rientrato nella Striscia lo scorso 12 agosto, approfittando di una tregua. Sono rimasti un giorno. “Siamo stati solo a Gaza City, le altre zone sono ancora molto pericolose, piene di ordigni inesplosi, gli stessi che hanno causato la morte di Simone Camilli. Penso al villaggio di Beit Hanoun, vicino al confine israeliano: è stato raso al suolo. A Gaza City i danni sono ingenti nella parte est, interi quartieri sono stati distrutti, come Shijaia, cosi come i magazzini del porto. Altri quartieri invece sono rimasti intatti come Southern Remal la zona dove anche alcuni uffici delle Nazioni Unite hanno la sede”. Il rientro di oggi è stato possibile dopo averlo comunicato a Ganso (Gaza Ngo Safety Office), progetto finanziato dalla Commissione europea per la sicurezza di tutti gli operatori impegnati a lavorare nella Striscia. “Il governo nazionale ha fatto le prime stime un po’ con la collaborazione di tutti: un’impresa non facile, perché anche la situazione politica a Gaza – Israele a parte – è particolarmente frammentata, divisa tra Hamas e Al-Fatah. Giusto poche settimane fa di comune accordo ci hanno incaricato di integrare le loro perizie, prestando attenzione al numero dei beneficiari dei vari progetti coinvolti”. De Filicaia racconta come, nel periodo della guerra, buona parte della popolazione si sia spostata dalla zona est verso ovest: “Solo nella Middle Area, secondo una stima fatta fa Gvc, pare che gli sfollati “informali” (cioè quelli non ospitati dai rifugi Unrwa, l’agenzia della Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei profughi palestinesi) da 54 mila che erano ora siano 8 mila, gli altri sono rientrati in quel che resta delle abitazioni.”

L’obiettivo di Gvc, ora, è occuparsi della distribuzione d’acqua, ma entro breve cominceranno anche le piccole riparazioni per il ripristino veloce delle infrastrutture idriche danneggiate. Ma l’emergenza riguarda anche l’elettricità, e sono pochi i beni che possono essere comprati, dopo che addirittura anche una delle poche fabbriche di biscotti è stata bombardata.

“Due nostri operatori se la sono vista brutta: a uno, infatti, durante la prima ondata d’attacchi, abbiamo chiesto di trasferirsi nei nostri uffici a Gaza City. Ma è andata bene. Tra l’altro, mi è stato riferito che gli israeliani in alcuni casi hanno adottato una prassi simile a quella che la Nato adottò nel 1999 quando bombardò Belgrado: chiamare gli obiettivi decisi dall’intelligence prima di bombardare, per fare sgomberare il quartiere o la zona, per evitare i cosiddetti ‘danni collaterali’ e colpire ad hoc. Ovviamente non sempre l’avvertimento è stato utile, e non sempre è stato messo in pratica. Durante i bombardamenti non esisteva, a Gaza, un posto dove sentirsi sicuri”.

 

Ambra Notari © Copyright Redattore Sociale