Anche GVC ha partecipato alla Conferenza Coopera, organizzata dal ministero degli Esteri e dall’Agenzia per la cooperazione allo sviluppo il 24 e il 25 gennaio a Roma.



Nei suoi oltre 40 anni di storia - dalla ristrutturazione della Banca del Sangue a Gaza, fino ad oggi, con i suoi interventi umanitari in aree come la Siria e il Libano - GVC ha sostenuto un modello di cooperazione allo sviluppo basato sulla sostenibilità e su strategie adattative volte a sostenere le capacità di resilienza delle comunità, agendo in sinergia con le altre ong e le istituzioni locali. Ora i tempi sono maturi perché questo modello condiviso e applicato da GVC in oltre venti paesi del mondo non solo si consolidi ma faccia un ulteriore passo in avanti.

“Nella sua storia, dal 1971 ad oggi, GVC ha visto le dinamiche tra Occidente, Oriente e Sud del mondo cambiare. Non sono di certo diminuite le disuguaglianze e le ingiustizie, che hanno toccato record storici, ma la diffusione della tecnologia ha reso possibile l’interconnessione tra paesi e persone”. A spiegarlo è Dina Taddia, presidente di GVC, che dopo la Conferenza Coopera ci racconta le evoluzioni e gli scenari auspicabili per la cooperazione italiana del futuro che si muove verso gli obiettivi di sviluppo sostenibile 2030.

“Ora, però, è indispensabile che si passi da una visione dello scambio unidirezionale a una concezione circolare, tra pari, della cooperazione internazionale- continua-. E’ necessario fare emergere i legami che ci uniscono e che ci rendono interdipendenti, guardando ad un nuovo modello di economia e di sviluppo che veda tutte le parti delle società coinvolte e ugualmente responsabili nei confronti di un continente come quello africano che nel 2050 avrà il doppio degli abitanti”. E’ solo così che si creeranno le condizioni perché le persone possano scegliere di migrare e non essere costrette a farlo.

Per questo GVC crede in un modello circolare della cooperazione allo sviluppo che coinvolga istituzioni e società civile di tutti gli stati e che assorba nel processo anche gli sforzi di nuovi soggetti, come i centri di ricerca e le università, le B corporation e le imprese. “Il privato potrebbe rappresentare per la cooperazione una risorsa importante per la crescita di intere comunità nel mondo. E non è un caso se molte nazioni stanno seguendo questa direzione- ha continuato Taddia-. A condizione, però, che le aziende condividano i valori della cooperazione di rispetto dei diritti umani e delle società coinvolte e la volontà di sostenerne la crescita”. Indispensabile – conclude Taddia – che le “politiche di cooperazione internazionale non siano slegate dalle politiche di sviluppo sostenibile dei singoli paesi e che ci sia coerenza tra di esse”.

Bologna, 25 gennaio 2018

 

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