Oggi si celebra la giornata internazionale per i diritti del Migrante istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2000, in seguito all’adozione della Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie.
Tuttavia, il tema della tutela dei diritti dei lavoratori migranti è ben lungi dall’essere sostenuto in maniera globale, infatti la Convenzione è stata ratificata solamente da 46 Stati, tra i quali non figurano né l’Italia né la maggior parte dei Paesi industrializzati.
La giornata internazionale per i diritti del Migrante ha quindi come obiettivo quello di riconoscere il contributo che ogni giorno milioni di migranti nel mondo apportano alle economie dei paesi di accoglienza e di origine e di sensibilizzare alle tematiche legate ai diritti umani del migranti e dei membri delle loro famiglie.
In questa giornata vogliamo ricordare le violazioni alle quali sono soggetti 21 milioni di lavoratori emigrati irregolarmente nel mondo, di cui più della metà solo in Asia (11.700.000), bersagli dello sfruttamento sessuale, del lavoro forzato e di forme moderne di schiavitù, vittime di violazioni di diritti umani.
In Cambogia il traffico di essere umani si è rafforzato a causa della migrazione insicura di donne e uomini cambogiani alla ricerca di un’occupazione più remunerata in Tailandia. Nell’ultimo anno si stima che circa 1,5 milioni di cambogiani si siano spostati nel paese vicino. Dal canto suo la Tailandia, in forte espansione economica, assorbe facilmente manodopera. Ci domandiamo allora, perché queste persone sono sfruttate?
Mancanza di leggi appropriate, di una loro applicazione, di conoscenza e cultura dei diritti del migrante, speculazione economica del lavoro sono le cause di queste gravi violazioni dei diritti umani. Violazioni che incidono profondamente anche sulla nostra vita. Perché le industrie in cui lavorano come schiavi producono prodotti tessili che finiscono nei nostri armadi, il pesce che troviamo sulle nostre tavole. Non solo ci rendono partecipi di gravi violazioni, mettono in crisi anche le nostre aziende chiamate a competere con una produzione sleale e minacciano la salvaguardia dei diritti dei nostri lavoratori e lavoratrici. È un fenomeno che ci riguarda tutti da vicino. Non possiamo ignorarlo.
In Cambogia abbiamo lavorato per contrastare il fenomeno. Il nostro progetto MIGRA-SAFE ha permesso di raggiungere in tre anni 60.000 persone, contribuendo ad aumentare il livello di consapevolezza dei rischi della migrazione irregolare, abbiamo fornito gli strumenti necessari alla popolazione cambogiana per evitare di cadere nella trappola dello sfruttamento lavorativo e del traffico di esseri umani.
Con le loro parole, alcuni tra i beneficiari del nostro progetto ci hanno raccontato le loro storie ed esperienze con l’umiltà di una generazione che, sebbene conosca i rischi a cui va incontro, sa anche che per assicurarsi una prospettiva di vita migliore ed uscire da una situazione di disoccupazione e povertà non ha alternative diverse dall’emigrare.
Hate ha 20 anni e vive nel villaggio di Kambou, Comune di Svay Sor, nella provincia di Siem Reap nel nordovest della Cambogia.
“Avevo ai piedi solo un paio di infradito ed è stato davvero difficile camminare nella foresta ed attraversare il fiume, avevo solo 18 anni ed ero molto spaventata. Quando siamo arrivati in Tailandia, io e le altre 9 persone con cui ho attraversato il confine siamo entrati tutti in una macchina, tutti seduti uno sull’altro e ci hanno coperti con un sacco di cose per nasconderci. Il viaggio è stato molto lungo, circa 5 ore, e non potevamo fermarci da nessuna parte. Alcune persone hanno vomitato e non sono riuscite a tenere la pipì. Ero coperta di vomito e piscio quando siamo arrivati, nel cuore della notte, a Bangkok”.
Questo gruppo di cambogiani è stato preso a lavorare, come molti altri migranti, in un cantiere – dove le condizioni di lavoro sono estremamente pesanti. Hate doveva trasportare secchi di cemento da dieci chili l’uno per 8 dollari al giorno, ma era contenta di poter guadagnare ed avere un lavoro. “Non ho mai visto un incidente nel cantiere, e il datore di lavoro ci permetteva di dormire in stanze di 3 metri quadrati, due o tre persone per stanza”.
Nonostante questo, anche nel caso di Hate, dopo 5 mesi la polizia militare tailandese ha fatto irruzione nel cantiere ed ha arrestato i lavoratori irregolari, portandoli al centro di detenzione. “Quando la polizia è arrivata sono corsa fuori dal cantiere e mi sono buttata nel fiume. Ho cominciato a nuotare, ma i poliziotti erano più veloci di me. Sono rimasta nel centro di detenzione 48 giorni, mangiando veramente poco, giusto il necessario per non morire di fame”.
La testimonianza di Hate mostra come la difficoltà ad ottenere i documenti per entrare in Tailandia attraverso la frontiera ufficiale, abbia spinto verso la ricerca di un canale alternativo, pagando un trafficante che ha organizzato la loro tratta passando per passaggi informali.
Queste storie sono state ascoltate durante i gruppi di auto-aiuto organizzati dal progetto MIGRA-SAFE, un’attività che dà l’opportunità ai migranti tornati nelle comunità di origine ed alle loro famiglie di condividere le loro esperienze, le difficoltà e i problemi connessi all’emigrare in Tailandia ed al rimanere nel villaggio per prendersi cura dei figli dei migranti, del lavoro nei campi e nelle case, e del gestire le rimesse. Queste reti di supporto informali permettono di aumentare la consapevolezza della situazione, dei rischi e dei benefici del migrare con o senza documenti, utilizzando un approccio solidale e di rafforzamento della comunità stessa.
Grazie ai finanziamenti dell’Unione Europea e di tanti privati stiamo intensificando le nostre attività. Dal prossimo gennaio inizieremo a lavorare attivamente anche in Tailandia perché il problema possa essere affrontato congiuntamente dai nostri due paesi. Continueremo a lavorare al fianco dei migranti poveri e delle loro famiglie, degli sfruttati. Con le associazioni cambogiane e tailandesi attive nei diritti dei migranti porteremo la voce di tanti struttati nelle stanze dei governi locali, nazionali ed internazionali per promuovere leggi e politiche che salvaguardino i diritti delle persone, dei migranti e del lavoro. Lo faremo anche in Europa perché non possiamo tacere su un presente che ci riguarda tutti da vicino.
Qui approfondisci le storie dei migranti cambogiani con l'articolo pubblicato dal The Guardian