Anche se con l'usuale poco spazio sui mass media, è comunque arrivata in Italia e in Europa la notizia dei disordini in Burundi, da sabato 25 aprile teatro di scontri violenti fra la popolazione e le forze armate del presidente Pierre Nkurunziza. Come ONG dalla storica presenza nel paese, guardiamo con preoccupazione a questa situazione.

Ma cosa sta succedendo? Il nostro Mattia Bellei, responsabile paese della nostra sede in Burundi, ci invia un dettagliato resoconto dal terreno: "Il presidente Pierre Nkurunzuza, al potere dal 2005 e rieletto nel 2010, si è ufficialmente presentato per il terzo mandato consecutivo lo scorso 25 aprile, ufficializzando la sua candidatura per le elezioni previste in luglio. Ed è questa decisione ad essere all’origine delle manifestazioni di questi ultimi giorni. Gli avversari del capo dello stato, partiti d’opposizione e diverse organizzazioni della società civile, denunciano infatti l'incostituzionalità di questa manovra elettorale, che comprometterebbe gli accordi di Arusha che nel 2005 misero fine alla guerra civile".

"Il bilancio ufficiale è di cinque manifestanti uccisi, più di cento persone arrestate, e numerosi feriti, tra i quali una quarantina di poliziotti. Secondo altre fonti (Croce Rossa Burundese),  i morti sarebbero già oltre quindici. Inoltre, sono stati presi dei provvedimenti molto preoccupanti di limitazione nella circolazione delle informazioni. Le radio, lo strumento di comunicazione più diffuso in Burundi, sono state chiuse lunedì 27 aprile, generando insicurezza tra la popolazione, soprattutto in chi vive nelle province all’interno del paese. Senza nessuna fonte di informazione indipendente, non si capisce realmente cosa stia succedendo, né nella capitale né nelle altre città, fomentando in questo modo la paura e la tensione attraverso rumori o false notizie. Il 29 aprile, l’ARCT (Agenzia di Regolazione e Controllo delle Telecomunicazioni) ha tagliato l’accesso dei cellulari alle reti sociali (Whatsapp, Facebook e Twitter), senza dare nessuna spiegazione in merito".

"Chi poteva andarsene dalla capitale lo ha già fatto, raggiungendo i familiari in altre province, o addirittura lasciando il paese. Ad oggi circa 15.000 persone si sono già rifugiate nel vicino Rwanda, per paure di ritorsioni o attacchi diretti persino all’interno delle proprie case".

"Martedì mattina abbiamo fatto una riunione con lo staff locale del GVC, per valutare assieme la situazione e definire cosa avremmo potuto fare per continuare le attività di riabilitazione nutrizionale dei bambini malnutriti nelle province di intervento. Abbiamo contattato le “Maman Lumiere” e gli agenti di salute comunitaria, nostri partner nell’implementazione del progetto, che con gli stock di cibo precedentemente distribuiti hanno potuto continuare la formazione e  la riabilitazione dei bambini inseriti nel programma".

Secondo Mattia, la tensione probabilmente continuerà anche nei prossimi giorni, dato che né il presidente né il suo entourage hanno intenzione di cedere. E dall’altro lato  i dimostranti cercano di reclutare più alleati possibili nei vari quartieri per poter portare avanti le azioni dimostrative.  Per il momento non ci sono passi avanti, ognuno resta fermo nelle sue posizioni e la tensione cresce. Probabilmente l’unica soluzione sarebbe quella di iniziare un dialogo tra tutti i partiti, il più possibile inclusiva, cercando una mediazione che possa portare ad una fase di transizione. Se invece la situazione rimanesse in stallo, anche il processo elettorale sarebbe a rischio, e con lui gli accordi bilaterali tra governo e finanziatori (Unione Europea, USAID e le varie ambasciate presenti in Burundi) con conseguenze molto gravi per la popolazione in difficoltà e per le categorie a rischio (donne e bambini).