“Quella che abbiamo visto a gennaio e febbraio è probabilmente solo la prima fase di un movimento che vedrà nuove crisi nell’autunno”. Lo ha spiegato Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica Limes, intervenendo all’incontro organizzato da GVC “Tunisia, Libia, Egitto, Siria, Yemen: la democrazia non può (più) attendere” in Cappella Farnese a Palazzo d’Accursio, a Bologna. Un appuntamento al quale hanno partecipato anche – oltre al direttore e al presidente di GVC – il neo sindaco della città Virginio Merola e Luciano Vecchi, consigliere regionale e membro della Presidenza del Partito Socialista Europeo.
Lucio Caracciolo dopo aver fatto un quadro della situazione, ha indicato cosa andrebbe fatto per i Paesi della sponda sud per aiutarli ad intraprendere la via dello sviluppo democratico. “Dopo decenni di sottomissione a dittature autoritarie si è assistito alla prima vera rivolta araba della storia moderna, portata avanti da una popolazione per lo più giovane. Due dittatori come Ben Ali e Mubarak, rispettivamente di Tunisia ed Egitto, sono stati spodestati dalla forza della piazza. Le vittorie ottenute da questi due Paesi hanno inevitabilmente innescato disordini anche in Algeria, Libia, Yemen e Siria. Se una situazione del genere si fosse verificata in Arabia Saudita, ci saremmo trovati sicuramente di fronte ad una crisi energetica ed economica senza precedenti.
“Un ruolo centrale nella mobilitazione – ha proseguito il direttore di Limes – è stato ricoperto dalle televisioni satellitari, Al Jazeera la capofila, ma anche dai social network come Facebook e Twitter, mezzi di comunicazione che sono riusciti a portare in piazza milioni di persone che mai hanno toccato un computer in vita loro. “Parliamo di Paesi in cui spesso lo Stato, come lo conosciamo noi, non esiste o comunque non ha radici storiche. Il caso più clamoroso è quello della Libia, un Paese creato dagli italiani negli anni Trenta, dall’unione di Tripolitania e Cirenaica - due Regioni sottratte al controllo di Costantinopoli - e che è stato tenuto insieme da un dittatore come Gheddafi. In poche settimane di guerra in Libia è tornata la divisione in due del territorio: la Tripolitania, in mano a Gheddafi e la Cirenaica, in buona parte controllata dai ribelli”.
“Anche in Egitto, il Paese più importante del nord Africa dal punto di vista demografico – ha continuato Caracciolo – regna un contesto di incertezza. Soprattutto nei grandi centri urbani come Il Cairo, dove la popolazione è compresa tra i 20 ed i 30 milioni di abitanti (non si sa con certezza), la situazione è difficilmente controllabile. Aggiungerei che quella che abbiamo visto a gennaio e febbraio è probabilmente solo la prima fase di un movimento che vedrà nuove crisi nell’autunno. In nessuno di questi Paesi si può parlare di rivoluzione nel senso che noi diamo comunemente a questa parola perchè oltre alla caduta del dittatore non è stato proposto un altro leader o un’ideologia, neanche religiosa. La cosa certa è che, al di là di democrazia e libertà, restano da risolvere molti problemi di carattere puramente economico”.
“Noi Paesi occidentali - ha concluso Caracciolo - abbiamo fino ad oggi ignorato buona parte di quel mondo. Credo che la prima cosa da fare ora sia riprendere un rapporto, prima di tutto dal punto di vista politico, per costruire progetti di scambio sia commerciale che culturale. Sul versante economico, non possiamo non investire in ciò che ci tiene in contatto con gli altri Paesi affacciati sul Mediterraneo. Intendo dire in questo senso che la situazione portuale italiana, ma soprattutto retroportuale – la rete stradale e quella ferroviaria – va rivista. Un altro sforzo va fatto dal punto di vista culturale: è necessario un investimento in conoscenza da parte dell’Italia, anche attraverso la selezione, con borse di studio, di studenti e ricercatori provenienti dai Paesi della sponda meridionale del Mediterraneo. Tutto ciò aiuterebbe loro, ma anche noi, in quanto porterebbe alla nascita di nuove relazioni commerciali”.