Socio fondatore di GVC e membro del direttivo, Tarcisio Arrighini è attualmente responsabile di Agrifam, progetto a sostegno dell’agricoltura familiare nella regione dell’Alto Paranaiba, che punta sulla produzione di oli vegetali unendo reddito con sicurezza alimentare e rispetto dell’ambiente. Quella di seguito è la sua testimonianza sulle proteste e le manifestazioni che in queste ultime settimane stanno attraversando il Brasile.

L’altra sera di ritorno da Ibia, a 400 chilometri da Belo Horizonte, dove GVC gestisce il progetto Agrifam , siamo rimasti intrappolati dentro a uno dei vari blocchi dei manifestanti: un’ora di coda, poi l’intervento della Polizia e il traffico si è messo a rifluire normalmente, anche se stamattina i manifestanti hanno rioccupato e bloccato la stessa strada, cosi come in vari altri punti della città. Proprio questi mini-blocchi fanno capire la natura delle manifestazioni che sono nate in tutto il Brasile in occasione della Coppa delle Confederazioni.

La protesta è alimentata dai network televisivi (antigovernativi) e da internet e, come tale, polizia e istituzioni non riescono a contenerla né a bloccarla o prevederla. Come una catena di sant'Antonio, gli appuntamenti arrivano via email e sono motivati da questioni specifiche di ogni singolo quartiere. Quello dell’altra sera, per esempio, era per chiedere una passerella che permetta ai pedoni di attraversare una grande arteria stradale. Insomma una questione “localissima”, ma importante per chi abita in quel “bairro”.

Che significa questo? Che sulla grande mobilitazione nazionale, sui temi della politica, della corruzione, della salute, dell’educazione o dei trasporti, si stanno innestando rivendicazioni locali, che beneficiano della grancassa mediatica. E infatti sono certo che quella passerella, rivendicata da tempo, arriverà stavolta in fretta. Allo stesso modo, la Presidente Dilma Rousseff ormai da giorni sta promettendo investimenti in educazione e salute, riduzione dei prezzi, votazioni palesi in Parlamento, addirittura referendum costituzionali, che senza questo imprevisto, ma non imprevedibile, movimento nazionale probabilmente non sarebbero mai arrivati.

Pil e costo della vita
Ma vengo al punto cruciale della natura di questa protesta, che i brasiliani non erano più abituati a vedere dai tempi dell’affossamento popolare del governo Collor, quello che fece il prelievo forzoso sui conti bancari e mandò in rovina migliaia di piccole imprese. E lo faccio cercando di spiegare le cose dal basso e non dall’alto, insomma dal punto di vista del semplice cittadino. La gente comune non ragiona col Pil in testa: che il Brasile sia diventato la sesta potenza economica mondiale solletica i politici, ma non chi va a comprare i pomodori al mercato vedendoseli offerti a 7 reais al chilo invece che 2 (guarda caso, in questi giorni sono tornati a 2 reais) o deve prendere 3 autobus per andare a lavorare dovendo pagare 3 reais per ogni corsa anche se dura 5 minuti (18 reais per andare e tornare, cioè 6 euro e mezzo ogni giorno con un salario che nella media sta sui 1.000-1.200 reais, insomma 500 euro al mese) o deve comprare la benzina a quasi 3 reais al litro (più di 1 euro) in un Paese che esporta petrolio.

Corruzione e malasanità
La gente comune non se ne fa niente di sapere che il Brasile ha saldato il suo debito col Fondo monetario internazionale e anzi è diventato un Paese creditore, ma sa che il Sus (sistema unico di salute) è un disastro, ha infrastrutture vecchie e personale non preparato. Sa che ammalarsi è un guaio se non si ha un’assicurazione privata. La gente comune sa che la scuola pubblica è squalificata, che la violenza è sempre più diffusa, così come la corruzione, e che i politici, tutti, restano sempre impuniti. La gente comune sa che la stessa macchina comprata in Brasile costa il 30% in più che in Argentina e ha capito che, alla fine, governi di destra o di sinistra fanno poca differenza, poiché a cambiare sono solo i grandi numeri della economia e a migliorare solo una piccola percentuale di beneficiati (politici in primis, imprenditori, alcune categorie professionali come medici, notai e avvocati), mentre tutti gli altri devono fare i conti con un costo della vita raddoppiato in pochi anni e devono indebitarsi ben oltre il limite delle proprie entrate.

È proprio a partire da queste considerazioni che da mesi ci chiediamo tra noi italiani e con i brasiliani con cui lavoriamo ogni giorno: ma quando si sveglierà la popolazione? Come possono assistere passivamente a un simile rincaro della vita, come possono accettare una totale impunità dei politici, anche quelli condannati dal Tribunale supremo? Come possono accettare questi costi demenziali del trasporto pubblico? Come possono accettare che nel primo Paese esportatore di carne al mondo insieme all’Argentina, il filetto costi 47 reais al chilo?

Protesta senza leader?
Il momento della protesta è arrivato durante la Confederation Cup, quindi in coincidenza con un momento che è sacro per i brasiliani. Se ne sono fregati del calcio (e questo la dice lunga sulla gravità delle ragioni che stanno alla base delle manifestazioni) e hanno deciso di trasformare la manifestazione nel trampolino di lancio di un grande movimento di contestazione che nessuno sa dove arriverà. Ma proprio qui nascono i problemi: questo movimento non ha infatti ora leader di rilievo, capaci di incanalare la protesta verso proposte politiche e di sostenere il confronto col Governo centrale e locale. Certo, sta ottenendo effetti insperati, ma senza una leadership solida non riuscirà a far sì che le tante facile promesse che ha ottenuto, arrivino alla loro messa in pratica.

Violenze e infiltrati
Il movimento deve anche affrontare in tempi rapidissimi il problema delle frange marginali che in tutte le manifestazioni si danno ad atti di vandalismo e a ruberie. Qui a Belo Horizonte, dopo la partita Brasile-Uruguay, 100 o 300 mascherati su 50mila (c’è chi dice 150mila) manifestanti, hanno messo a ferro e fuoco vetrine e concessionarie, rubando tutto quello che hanno trovato. Le condanne non sono mancate, ma resta il fatto che i manifestanti non riescono a isolare i violenti e spesso diventano spettatori incuriositi, intralciando e impedendo di fatto l’intervento della polizia. Quale è il rischio? Che questi episodi diventino il pretesto per mettere la mordacchia alle manifestazioni e, in definitiva, al movimento. Ma chi sono questi violenti? Frange di vetero marxisti-leninisti, come tendono a dipingerli le Tv nazionali? Io, con molta più certezza di essere nel vero, penso a gruppi manovrati dalle mafie locali come il Pcc, il “Primeiro comando da capital”, che quando vuole mette a ferro e fuoco San Paolo e altre città.

I leader di questo movimento devono avere anche la consistenza politica necessaria per capire chi devono essere, di volta in volta, i loro interlocutori istituzionali. Questo è un altro problema serio da affrontare: manifestare contro il Governo centrale per l’aumento dei prezzi degli autobus non ha senso, dal momento che le tariffe dei trasporti sono decise dai Prefetti e con questi va messa in piedi una trattativa.

Il risveglio dopo il letargo
Come finirà? Difficile dirlo. Le previsioni di sociologi e politologi vanno da una radicalizzazione della protesta a un suo progressivo esaurirsi, specie se gli episodi di violenza continueranno a ripetersi. Intanto i disordini continuano e si diffondono sempre di più. Il consenso di Dilma Rousseff è calato in una settimana di quasi il 30% e lo stesso vale per quasi tutti i politici brasiliani, preoccupati per le elezioni del 2014, a eccezione dell’ambientalista Marina Silva, che ha fondato una sua lista, data in continua ascesa. Insomma, l’aria che tira è che siamo alla vigília di un cambiamento radicale nel quadro politico brasiliano. Certo è che la immagine della sesta potenza economica mondiale esce ridimensionata. Non era tutto oro quello che luccicava. Il Brasile era e resta una economia fortissima, ma non deve continuare a confondere quantità con qualità o il Pil con il fabbisogno della sua gente. Ma ora sono tutti avvertiti, i brasiliani forse si sono svegliati dal letargo.