Il 17 e 18 Marzo i leader europei si sono incontrati a Bruxelles per discutere e definire l'accordo con la Turchia per la gestione della crisi, o meglio dire, dei flussi, dei rifugiati siriani verso l'Europa.

Oggi, dopo 5 anni di confitto in Siria di cui al momento non si vede realistica risoluzione all'orizzonte, sono circa 11 milioni i siriani che hanno perso la vita o hanno dovuto lasciare la propria casa. Di questi circa la metà sono riusciti a scappare fuori dai confini dal paese, gli altri sono i cosiddetti IDPs (Internally Displaced People), cioè sfollati interni. 

Dei circa 6 milioni che sono riusciti a fuggire dalla Siria, 5 milioni sono rifugiati nei paesi limitrofi (quasi 3 milioni in Turchia, 1 mlione in Libano e 600 mila in Giordania, gli altri distribuiti tra Serbia, Iraq, Egitto e Nord Africa). Circa 550.000 sono i rifugiati siriani ad oggi registrati in Europa, di cui la maggioranza in Germania, Svezia e Ungheria.

Questi i dati. Una situazione che rappresenta sicuramente per l'Europa la crisi umanitaria più importante, se non altro in termini numerici, dalla seconda guerra mondiale. Una situazione che richiede da parte dell'Europa una risposta politica oltre a programmi di aiuto umanitario. Una situazione che pone anche una sfida importante ai principi fondamentali del vecchio continente. 

L'accordo con la Turchia vuole essere, dal punto di vista europeo una risposta a questa crisi. Ma ai bisogni di chi risponde davvero questo accordo? A quelli delle migliaia, milioni di persone (uomini, donne e bambini) che fuggono dalla guerra siriana?

Vediamo un po' più nel dettaglio l'accordo e cerchiamo di capire perchè molte organizzazioni che si occupano della protezione dei rifugiati, tra cui GVC, vedono più ombre che luci e più rischi che benefici per le persone che in primis vanno tutelate, i rifugiati stessi.

La prima grande questione è quella del principio del non-respingimento, a cui questo accordo rischia di venir meno. Il testo dell'accordo stesso riporta che si tratta di una misura straordinaria necessaria per mettere fine alla sofferenza umana e restaurare l’ordine pubblico. Ciò che preoccupa noi, come tantissime altre organizzazioni con le quali collaboriamo, è che la Turchia non è un Paese che dà garanzie legali sufficienti rispetto a quanto richiesto dal diritto internazionale in termini di tutela dei rifugiati.

L'accordo pur non prevedendo direttamente respingimenti di massa - resta infatti in linea di principio garantito il diritto di richiesta d'asilo in Grecia - prevede che tutti i migranti che sbarcheranno sulle Isole Greche in provenienza dalla Turchia dal 20 marzo in poi saranno respinti in Turchia. Allo stesso tempo però i migranti che arriveranno sulle isole greche saranno registrati, potranno richiedere asilo e ogni richiesta sarà analizzata dal Governo Greco con l’aiuto dell’UNHCR. Qualsiasi migrante che non richiederà asilo o che vedrà la sua richiesta rigettata sarà rinviato in Turchia. Anche l'UNHCR in un comunicato esprime perplessità inerenti alle effettive tutele, cosa che allo stato attuale non avviene.

Altro elemento allarmante è la modalità prevista per disincentivare i passaggi via mare dalla Turchia alla Grecia. Per ogni Siriano riammesso in Turchia dalle isole greche un altro siriano sarà reinsediato dalla Turchia basandosi sui criteri di vulnerabilità delle Nazioni Unite. Saranno prioritari i rifugiati che non sono mai entrati né hanno mai provato ad entrare nel territorio europeo.

Ripensando alle dimensioni epocali del dramma siriano e alla conseguente enormità della sofferenza umana che ne deriva, questo accordo sembra non fare i conti con la realtà della crisi siriana e dei rifugiati che scappano da quella guerra. Va inoltre considerato il ruolo della stessa Turchia all'interno della crisi siriana, oltre al dubbio posizionamento del Governo di Erdogan in tema di rispetto dei diritti umani. 

A quali esigenze risponde quindi questo trattato? La nostra preoccupazione è che questo trattato poco aggiunge alle normative già in vigore e non rispettate e che sia semplicemente un modo per calmare una parte di Stati membri e opinione pubblica.

Un accordo cinico e in linea con la perdurante incapacità di realizzare una politica migratoria umana, che va contro i principi fondamentali e il trattato costituente dell’Unione, che prevede che ogni rifugiato sia riconosciuto tale nel territorio europeo con la facolta di spostarsi liberamente all’interno dei paesi dell’Unione.

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