VIOLENZE E AIDS: TRAUMA, MALATTIA, EMARGINAZIONE.
GARANTIAMO ASSISTENZA SANITARIA IN PER I RIFUGIATI IN BURUNDI.

 

7 APRILE: GIORNATA MONDIALE DELLA SALUTE

 

Abbiamo paura di morire giovani, di non poter avere più rapporti, di trasmettere ai nostri bambini la malattia”.

Alcune donne raccontano di essere diventate sieropositive perché violentate dai soldati in Congo. Per altre, è stato il marito che poi le ha abbandonate, ma c’è chi non sa nemmeno come sia accaduto. Quando una donna è incinta e va alla prima visita prenatale, il test dell’HIV è obbligatorio e se scopre di essere sieropositiva, si spaventa.

Purtroppo, c’è ancora chi pensa che sia una malattia arrivata con una maledizione, così si affidano a un guaritore o a uno stregone. Poi però vengono da noi che spieghiamo loro che è possibile farsi curare”. A raccontarlo è Vanessa Niyonizeye, psicologa specializzata in salute mentale e problemi connessi all’HIV che lavora nel campo di Musasa, in Burundi. Qui, sono presenti 8.500 rifugiati che sono fuggiti dal Congo, alcuni arrivati dopo uno degli ultimi scontri tra l’esercito e le milizie dei Mai-Mai, a causa di una guerra che si protrae ormai da venti anni e che ha preso di mira soprattutto donne e bambine.

Secondo le Nazioni Unite, infatti, sono oltre 15mila i casi accertati di violenza sessuale su di loro ma continuano a crescere: se ne registra uno ogni mezz’ora. I traumi sono indelebili e alle volte, alla violenza e ai segni delle ferite psicologiche, si somma anche lo stigma e l’esclusione che porta con sé l’AIDS.

Nel campo dove lavora Vanessa, in Burundi, così grande da essere diviso in 35 quartieri, gestiamo un centro di salute che offre assistenza sanitaria gratuita e, oltre alle cure di base, anche servizi per garantire la salute riproduttiva materno infantile, per prevenire l’HIV e assistere i pazienti che hanno l’AIDS e altre malattie fortemente invalidanti. A Musasa, grazie anche al lavoro di contrasto e sensibilizzazione della diffusione della patologia portata avanti dall’organizzazione, si ha una percentuale di sieropositività che si attesta intorno allo 0,4%, dato relativamente basso se si pensa che nel centro della città, a Bujumbura, sale del 2,6% e che in campi per i rifugiati come questo di Musasa, da anni arrivano e transitano migliaia di persone provenienti dal Congo.

Donna Burundi WeWorld OnlusNei centri di salute allestiti nei cinque campi per i rifugiati in Burundi, prendiamo in carico ogni anno circa ventimila pazienti. Il numero dei rifugiati accolti è invece di 72.500, 53mila dei quali vivono nei campi e gli altri a Bujumbura e sul numero totale dei rifugiati un quarto sono minori sotto i cinque anni.

Stiamo facendo di tutto per evitare nuove trasmissioni della patologia, contenendo possibili episodi e garantendo cure costanti nel tempo, grazie alla distribuzione di farmaci antiretrovirali. “In questo campo, ci sono al momento 42 persone, 10 uomini e 21 donne, che hanno l’AIDS. L’età va dai 20 ai 50 anni ma c’è anche una bimba di 11 anni e una donna anziana che ne ha 87 - racconta Vanessa-  Vengono tutte dal Congo, soprattutto dal Sud Kivu e tutte sono state contagiate lì”. Chi è sieropositivo subisce ancora forti discriminazioni, soprattutto le donne, spesso lasciate sole dai mariti e ripudiate, e così come chi appartiene ai Bayamulengue, una etnia tutsi proveniente dalle regioni orientali del Congo. “Per questo ancora tante persone preferiscono tenere segreta la loro malattia – aggiunge la psicologa- . Ci sono persino 14 sieropositivi di Bujumbura che vengono qui da noi, una volta al mese, pagandosi da soli il trasporto, per farsi curare. Dicono che noi li curiamo meglio ma in realtà è perché qui nessuno li conosce. I sieropositivi e i malati di AIDS, purtroppo, fuori dai campi, ricevono minore protezione e garanzie e per i rifugiati congolesi essere curati da WeWorld Onlus incide positivamente sul loro stato di salute”.