IL VALORE DI OGNI PERSONA È INESTIMABILE: PER QUESTO DOBBIAMO FARE DI TUTTO PER CONTRASTARE L’ABBANDONO SCOLASTICO. COME? CE LO SPIEGA GIORGIO VITTADINI, PRESIDENTE FONDAZIONE PER LA SUSSIDIARIETÀ

WeWorld: Secondo lei perché dovremmo occuparci oggi, tra i tanti problemi sociali, di dispersione scolastica?

Giorgio Vittadini: Dovremmo preoccuparci anche se un solo ragazzo all’anno abbandonasse la scuola: la vita di ogni persona ha un valore inestimabile!
Purtroppo però il problema  il problema è vastissimo. I ragazzi che abbandonano la scuola sono circa 200.000 all’anno che, per rendere l’idea, corrispondono agli  spettatori di 3 stadi di san Siro. Secondo Eurostat, il 17, % degli alunni italiani abbandonano la scuola: in Europa solo Malta, la Romania, la Spagna fanno peggio dell’Italia. La concomitante crisi  occupazionale  fa anche si che 2.200.000 persone tra i 16 e i 28 anni non  lavorano  né studiano. E, contrariamente a una comune vulgata,  l’abbandono scolastico non riguarda solo la parte del paese tradizionalmente  ritenuta meno sviluppata ma in eguale e in certi casi  in  più alta misura anche  le aree del Nord.

WeWorld: E allora? Quali sono le reali cause dell’abbandono scolastico? Come si può fronteggiare?  Quali realtà devono essere in prima linea nel farlo?

Giorgio Vittadini: La ricerca di WeWorld, Abt, Fondazione Agnelli, condotta dall’equipe coordinata dal prof. Checchi, permette di rispondere a queste domande, per la prima volta in modo organico nel nostro paese.
La dispersione scolastica non è innanzitutto un problema di spesa se è vero che per la scuola primaria e secondaria l’Italia spende il 4,5 del Pil, in linea con la media Europea. Forse le cause dell’abbandono sono più legate alla scarsa attrattività della scuola italiana, come fa pensare il fatto che, secondo dati desumibili dall’indagine Ocde-Pisa, il 38% dei quindicenni italiani ritiene la scuola un luogo dove non si ha voglia di andare. E’ la documentazione statistica di quanto un professore raccontava a riguardo della scarsa attenzione dei suoi alunni. Mentre arrabbiato, rivolgeva loro il solito richiamo perché si impegnassero di più, si è fermato e ha pensato: “il contrario di distratti non è attenti, ma attratti. Sono distratti perché non sono attratti. E’ mia responsabilità attrarli”. Se questo è vero per chi va a scuola lo è ancora di più per chi la scuola la ha abbandonata. In molti casi chi abbandona la scuola è stato abituato a pensare che non farà mai niente di buono e che sarà sempre un emarginato. Perciò, in molti casi riusciti di lotta alla dispersione, il primo passo è quello di comprendere e accogliere la ferita di chi ha fallito.

WeWorld: Tuttavia per lottare contro la dispersione non  basta una condivisione umana.

Giorgio Vittadini: questo è il primo passo per accompagnare a un nuovo percorso di conoscenza e studio  Si pensi ad esempio a doposcuola liberi che, sostengono nello studio studenti in difficoltà senza gravare economicamente sulle famiglie  meno abbienti ( si calcola in circa 430 milioni di euro l’anno la spesa per  ripetizioni private). Si pensi a quelle nuove strutture di formazione professionale, nate in collaborazione con imprese e realtà sociali, ove ragazzi che hanno abbandonato la scuola imparano un “mestiere” e riscoprono la  capacità di fare e trasformare la realtà. Una di queste scuole, ove si insegna a fare i parrucchieri, i fornai, i pasticceri, i tecnici informatici organizza ogni anno una gara di poesia, perché, dicono i responsabili della scuola, senza “educarsi al bello” i ragazzi non possono neanche fare il parrucchiere.

WeWorld: Ma chi è in grado di accogliere sul piano umano e nello stesso tempo sa riappassionare allo studio?

Giorgio Vittadini: La ricerca di Checchi, mette  in luce come le scuole pubbliche e libere e le opere “assistenziali” del  terzo settore  facciano fatica a coordinarsi nella lotta alla dispersione e questo porti a una minore efficacia. Muovendosi in modo separato in certi casi si insiste sulla necessità di raggiungere risultati di profitto nel ritorno a scuola senza riuscire a interessare i ragazzi, in altri  si punta sull’accoglienza umana senza riuscire a farli studiare. Papa Francesco ha ricordato un proverbio africano: “Per educare un figlio ci vuole un villaggio”. Solo un impegno comune coordinato può portare a una  efficace lotta alla dispersione. Ne è esempio ciò che è capitato in una scuola pubblica media inferiore della periferia  Milano all’interno della quale opera una realtà di terzo settore. Una operatrice di questa opera non profit ha visto correre per il corridoio un’alunna urlante, truccata in modo volgare e, saputo che ormai era sull’orlo dell’abbandono della scuola ha chiesto alla preside di potersene far carico.  Ha innanzitutto proposto alla ragazza di aiutarla a truccarsi  in modo migliore, più elegante. E’ stato l’inizio di un percorso, in collaborazione con i professori della scuola, che dal make up è giunto fino a un aiuto nel cammino scolastico. La ragazza ha ripreso a studiare e ha conseguito  il diploma. Sono risultati possibili quando si accetta di lavorare assieme, mettendo in gioco ognuno i propri talenti. E’ il suggerimento di un metodo valido per tutti che la ricerca del professor Checchi invita a intraprendere.