VIOLENZA CONTRO LE DONNE. COSA NE PENSANO GLI ITALIANI.

 

Le notizie di cronaca ci riportano periodicamente a riflettere sul fenomeno della violenza contro le donne e del femminicidio. Quelle stesse notizie che nei primi giorni di febbraio hanno visto incrociarsi le storie di 3 donne, in 3 parti d’Italia che in poco più di 24 h hanno condiviso il medesimo destino: 3 donne vittime di violenza per mano del proprio partner, del padre dei propri figli. Parliamo di Marinella, Luana e Carla che con le loro drammatiche storie hanno fatto riaffiorare il dibattito sul tema. Ma parliamo di tante altre donne uccise, ridotte in fin di vita, quotidianamente vessate dal proprio partner o ex partner. Quando sono le morti, i femminicidi, a ricoprire le pagine dei quotidiani e a sollecitare l’interesse mediatico, iniziano gli interrogativi  su  quali morti potevano essere evitate e sui segnali non letti di morti annunciate. Ci si interroga su quella violenza consumata tra le mura di casa, nel silenzio della propria quotidianità, una violenza che nel nostro Paese viene subita da una 1 donna su 3.

Di fronte a un problema così diffuso e radicato nella nostra cultura, nella nostra società, non possiamo restare indifferenti. Un problema culturale che riguarda tutti e tutte, un problema che richiede un’azione forte di presa di coscienza, di sradicamento di stereotipi di pregiudizi che sono fattori di rischio della violenza domestica. Non un fatto privato, dunque. Un problema pubblico che come tale va affrontato con azioni costanti e concertate di prevenzione e sensibilizzazione, per innescare un cambiamento che sia prima di tutto culturale. Per questo sono necessari investimenti costanti in azioni di prevenzione come da anni ormai continuiamo a ribadire. L’ultima indagine di WeWorld, Rosa Shocking 2 (2015), presentata nel novembre 2015, ha confermato una flessione – seppure lieve – nell’investimento in prevenzione e contrasto della violenza da parte della società civile che per il 2014 si attesta sui 14,4 milioni di euro (16,1 milioni nel 2013). Un calo che conferma la necessità di un’azione di sistema e di definizione di una governance delle azioni di prevenzione, già esplicitata con forza e largamente argomentata nelle precedenti pubblicazioni di WeWorld.

Ribadiamo dunque l’urgenza che tale azione di sistema venga disegnata, definita e implementata perché solo così sarà possibile promuovere un investimento costante e realmente incisivo. Sebbene le sollecitazioni dal basso di tutti i soggetti che a vario titolo si occupano di prevenzione e contrasto del problema della violenza contro le donne non manchino, per un’azione coordinata e di sistema è necessaria una reale volontà politica che passa anche per la definizione delle figure deputate a occuparsi di tali azioni. Sempre l’indagine Rosa Shocking 2 evidenza l’impegno personale delle massime cariche dello stato (Presidente della Repubblica Mattarella, Presidenti e Vice presidenti del Senato e della Camera, Grasso, Boldrini, Fedeli) non sempre accompagnata da un impegno del Governo (tra le nomine di fine gennaio spicca ancora una volta l’assenza di una Ministra delegata per le Pari Opportunità). Dalla prevenzione e contrasto della violenza di genere passa un cambiamento culturale della nostra società, passa un’azione politica trasversale e con un approccio gender mainstreaming capace di promuovere una prospettiva di genere in ogni programmazione e azione di governo, passa infine un’azione di promozione delle pari opportunità, di tutela dei diritti, di progresso.

Ancora più urgente e necessario ci sembra sia l’investimento costante sulla sensibilizzazione, sull’informazione e sulla formazione delle giovani generazioni che - come abbiamo rilevato nel sondaggio realizzato insieme a IPSOS in Rosa Shocking 2 – confermano la sedimentazione dei pregiudizi e degli stereotipi di genere come elementi caratterizzanti la nostra cultura, rilevanti fattori di rischio della violenza di genere. Il 32% dei giovani tra i 18 e i 29 anni afferma che la violenza è una questione privata che va affrontata all’interno della coppia e che non deve interessare gli altri. Questi e altri pregiudizi emersi nel sondaggio rivelano una certa “impermeabilità” delle generazioni più giovani del nostro paese alle variegate e molteplici sollecitazioni che arrivano dal pubblico e dal privato sociale. Quelle giovani generazioni in cui  è  ancora diffusa l’idea che le donne siano abili a esasperare gli uomini e che la violenza può essere giustificata dal “troppo amore”.

Quante Luana, Marinella e Carla dovranno ancora essere vittime di questo “troppo amore”?