Voci troppo spesso dimenticate, voci che chiedono di essere ascoltate: sono quelle delle donne dell’Afghanistan a cui CHEAP Street Poster Art ha ridato eco attraverso il progetto “Pane, lavoro e libertà - lo chiedono le donne afghane”.

Il nuovo intervento di public art di CHEAP, realizzato insieme a WeWorld, sarà visibile per tutto il mese di ottobre nella centralissima Via dell’Indipendenza. La campagna verrà presentata giovedì 6 ottobre alle ore 19.30 presso il Cinema Lumière di Bologna in occasione del Terra di Tutti Film Festival.

"Pane, lavoro e libertà" sono tre parole diventate manifesto, uno slogan utilizzato dalle donne afghane che per prime hanno avuto il coraggio di protestare pubblicamente nel mese di agosto del 2022, a un anno dalla caduta di Kabul per mano dei Talebani, per ricordare “il giorno nero”, com’è stato tristemente definito quel 15 agosto dello scorso anno che ha segnato la fine delle libertà per un popolo intero.

  • Cheap x WeWorld | Foto ©MargheritaCaprilli
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Con questo lavoro, CHEAP vuole rivendicare i diritti negati e agganciare la prospettiva di genere per relazionarsi allo scenario afghano, attraverso una serie di messaggi in cui  le voci delle donne dell’Afghanistan rompono il silenzio imposto dal regime. Voci che si stagliano sui muri di Bologna. “La cosa che ci colpisce - dicono da CHEAP - è come basti una notte per cambiare il corso della vita delle donne, come la brutalità e l’oppressione sembrino sempre distanti nello spazio e nel tempo ma si palesino velocemente, calpestando i diritti e rovesciando sulle donne barbarie e violenza. Basti pensare all’Iran oggi infiammato dalle proteste delle donne dopo la brutalità omicidia scatenata per un velo indossato male. Non possiamo permettere che i divieti e la negazione dei diritti fondamentali delle donne vengano dimenticati o, peggio, negati. Ed è qualcosa che ci riguarda tutte e tuttə, in qualsiasi parte del mondo siamo situatə.”

Le donne in Afghanistan

Dopo 20 anni di conflitto interno, il 15 agosto dello scorso anno i talebani hanno ripreso Kabul e di conseguenza anche il controllo del Paese. Nei giorni successivi, le forze e le organizzazioni internazionali hanno lasciato il territorio. All’inizio, i nuovi leader auto-insediatosi hanno promesso un regime più moderato di quello passato, che dal 1996 al 2001 è stato segnato dalle violazioni dei diritti umani delle minoranze etniche e religiose e per le durissime restrizioni dei diritti delle donne.

Tuttavia, nel giro di pochi mesi, vi è stato il ripristino di forti restrizioni e discriminazioni verso le donne che, come nel precedente regime, oggi non possono lasciare lo spazio domestico senza essere accompagnate da un membro maschile della loro famiglia. Inoltre, il lavoro femminile è sottoposto a controlli e tutte le donne devono indossare l'abaya - un abito lungo che copre tutto il corpo - e coprirsi il volto negli spazi pubblici. In un tale contesto, a causa dell’alto tasso di uomini morti nei recenti conflitti e delle conseguenze della pandemia e di altre patologie diffuse, oltre 2 milioni di donne sono vedove. Di queste un numero ancora maggiore è divenuto capofamiglia, e per loro, le possibilità di ottenere un lavoro o anche solo di chiedere l’elemosina sono quindi praticamente assenti.

Sono proprio queste donne ad essere le più povere tra i poveri, per lo più analfabete, costrette a mendicare per sopravvivere rischiando ogni giorno la vita in assenza di un tutore maschio. O ancora peggio sono i bambini a dover lavorare o mendicare, con tutti i rischi psicologici e fisici annessi, e un altissimo tasso di abbandono scolastico – aggravato dalla completa esclusione per le bambine dall’educazione secondaria.

La conseguenza più drammatica è quella per cui molte madri che non riescono più a garantire nemmeno un pasto al giorno si vedono costrette ad abbandonare i propri figli davanti agli orfanotrofi.

WeWorld in Afghanistan

WeWorld ha deciso di intervenire supportando le donne sole capofamiglia e le loro figlie e figli che vivono nella provincia di Herat, per garantire loro accesso al cibo. Nonostante le difficoltà di penetrazione del denaro nel Paese a causa delle condizioni critiche dell’apparato finanziario, le negoziazioni con le nuove autorità e la riluttanza di alcuni donatori a causa della situazione politica, è stato a poco a poco possibile reintrodurre programmi di aiuto umanitario di carattere monetario. Grazie al radicamento e alla possibilità di azione del partner locale Rural Rehabilitation Association for Afghanistan (RRAA), WeWorld è riuscita a dare il via a un progetto di Cash for Food. Ed è proprio così che un anno fa è iniziato l’intervento dell’associazione che ha supportato fino ad oggi 420 famiglie guidate da donne vedove senza alcuna fonte di reddito.


CHEAP è un progetto di arte pubblica, un collettivo, uno sguardo non obiettivo. Nata a Bologna nel 2013 dall’intesa creativa e dalla determinazione di 6 donne, CHEAP ha curato e realizzato interventi di public art a base di carta: il paste up, cioè l’utilizzo di carta e colla, è sia la tecnica indagata dal progetto che una dichiarazione d’intenti in termini di dedizione all’effimero e ricerca del contemporaneo come temporaneo.
CHEAP ha esordito come festival di street poster art, esperienza che ha ripetuto per cinque edizioni prima di cambiare format e scegliere di diventare un laboratorio permanente e mutare così in un’esperienza più fluida, situazionista e tagliente.
CHEAP agisce una riappropriazione dello spazio pubblico e lo fa infestando i muri di poster, ridefinendo nuovi linguaggi visivi contemporanei, generando inaspettati dialoghi con chi attraversa e abita l’ambiente urbano.
Dove la città oppone barriere sulla base del genere della classe e della razza, CHEAP pratica un conflitto simbolico facendo dell’arte pubblica (anche) un luogo di lotta.